Statale, filtro alle lauree umanistiche
L’ateneo verso il numero «programmato» nelle facoltà: l’ipotesi dei test per ridurre le matricole
Numero chiuso (anzi, «programmato») per le facoltà umanistiche. Iscritti in aumento (dal 20 al 70 per cento) in tutti i corsi di laurea e docenti centellinati dal ministero: per questo l’università Statale sta valutando strategie per contenere il numero di studenti dell’area umanistica. Allo studio un’ipotesi che prevede esami e colloqui preliminari per ridurre le matricole a Lettere, Storia e Lingue. Ma gli studenti protestano.
Da una parte gli aumenti degli iscritti (dal 20 al 70 per cento), dall’altra il Miur che cambia in corsa le regole per determinare il numero dei docenti da attribuire ai corsi di studio: l’università Statale corre ai ripari e valuta strategie per contenere il numero di studenti dei propri corsi di laurea dell’area umanistica. «Numero chiuso è un vecchio termine, fuorviante. Non si tratta di essere selettivi, ma di attuare procedure di accesso che rendano i corsi di studio efficaci e inclusivi con i ragazzi più motivati», precisa il prorettore alla didattica Giuseppe De Luca. Storia e Filosofia avrebbero comunque una delle capienze più ampie d’Europa: «Pianificare e gestire l’affluenza è l’unica strategia possibile per garantire la sostenibilità della qualità didattica».
Mossa a sorpresa ma opportuna o quasi inevitabile, secondo i vertici di via Festa del Perdono. Lì, nell’ultimo anno, Scienze umane dell’ambiente è cresciuta del 68 per cento (283 allievi), Storia e Filosofia di oltre il 40 (rispettivamente 651 studenti e 739). Ancora a Scienze dei beni culturali i ragazzi sono aumentati del 33 per cento e a Lingue del 21 per cento.
Domani è convocato un Comitato di direzione e gli studenti di alcuni collettivi hanno organizzato un presidio di protesta a priori: «Non ne facciamo una questione ideologica, ma di processo decisionale non condiviso — dicono —. Si parla di “numero programmato” e la presenza della componente studentesca deliberatamente non è prevista». De Luca getta acqua sul fuoco: «Si sta ancora riflettendo. A breve la facoltà di Studi umanistici dovrà valutare il numero di allievi sostenibile per ogni singolo corso e una eventuale procedura di ingresso. Potrebbe esserci un test obbligatorio di autovalutazione per orientare gli studenti, in modo che si possano organizzare». Un test andato male potrebbe funzionare come deterrente. A metà maggio comunque il Senato accademico ratificherà la migliore strategia. «Dobbiamo migliorare e potenziare l’orientamento della scelta in ingresso degli studenti che spesso, riducendosi agli ultimi giorni, si immatricolano ai corsi senza nessuna forma di regolazione», tiene a ribadire De Luca.
Interviene anche Corrado Sinigaglia, preside della facoltà di studi umanistici (i cui corsi di studio sono tutti cresciuti vorticosamente tranne Scienze della comunicazione, nata già con il numero programmato, e Lettere, mosca bianca, dove gli studenti sono scesi spontaneamente da 680 a 545 proprio grazie ad un test di autovalutazione).
Per raccontare, il preside fa un passo indietro: «Il Miur, con decreto ministeriale del 12 dicembre 2016, ha reso più stringenti i vincoli che regolano il numero di insegnanti da attribuire ai corsi, in relazione alla numerosità delle classi». Prima ad esempio per Lettere ci volevano nove docenti per 230 allievi, ora nove sono considerati sufficienti per massimo 200 ragazzi. «Se nel 2017/2018 arrivasse lo stesso quantitativo di studenti dell’anno scorso, il numero di docenti necessari crescerebbe a dismisura e in molti casi non ce la potremmo permettere», dice senza mezzi termini. Sforare costerebbe caro all’intero
ateneo: «Tutta la Statale a quel punto non potrebbe più aprire nuovi corsi, se non a costo di chiuderne altrettanti».
È un vincolo economico (assumere un quantitativo simile di nuovi insegnanti non è possibile) ma anche di efficienza organizzativa, visto che il tasso di abbandono dopo il primo anno è molto alto. «Di 3.200 iscritti nel 2015/16, solo 2.700 hanno poi confermato l’iscrizione al secondo anno — calcola De Luca —. Uno scarto del 16 per cento destinato ad aumentare ancora, che porta ad inefficienze perché noi in banca dati abbiamo dovuto impegnare un numero di insegnanti proporzionati ai 3.200 studenti, sottraendo così risorse per possibili nuove iniziative», spiega. Il numero giusto deve essere ben calibrato, con una prospettiva di lungo periodo.
Sull’abbandono dopo il primo anno di studi, però, i ragazzi dei collettivi non ci stanno: «Dove sono i tutor per aiutarci? — dicono —. E poi gli appelli per gli esami sono stati ridotti da nove a sei, ora risultano sovraffollati. Per forza c’è dispersione». Di certo, l’intento di tutti è migliorare. Se poco più di uno studente su due arriva alla laurea, dice il prorettore, «lo sforzo è di prendere tutti quelli che possiamo ma seguendoli bene, per non perderne neanche uno per strada». Le nuove procedure di orientamento in ingresso «sarebbero accompagnate da una politica di investimento nel tutoraggio per aiutare chi è in difficoltà».