LA SCUOLA CON TROPPI TAVOLI
Nell’anno 4000 diranno così di noi: urlavano scandalizzati che la giustizia era allo sfascio, ma affidavano qualsiasi risvolto della loro vita alla giustizia. Come negare: sotto le cataste di fascicoli ci stanno beghe condominiali, guerre coniugali, salendo fino ai pronunciamenti supremi per fine vita e riforme costituzionali. Tutto finisce davanti al giudice. Da soli non ce la facciamo. Ma trovo che il paradosso diventi un vero cortocircuito sociale là dove le coscienze devono formarsi: a scuola. La vicenda di quel ragazzo del Tito Livio «promosso» tre volte dal Tar e alla fine bocciato dal Consiglio di Stato (come deciso dai prof), è la perfetta rappresentazione della palude in cui s’è cacciato il romantico principio della compartecipazione. Genesi: a un certo punto, la generazione dei padri cresciuta a bacchettate viene obbligata dalla generazione delle okkupazioni ad aprire il santuario del sapere, accettando in cabina di regìa le delegazioni delle famiglie e delle classi. Idea sublime, in sé. Ma alla resa dei conti, è il trionfo del Tar. A parte qualche esempio virtuoso, abbiamo aggiunto un nuovo tavolo ai tanti tavoli «del confronto», genere Alitalia, questi tavoli cui tutti si siedono per parlare senza lasciar parlare, per farsi ascoltare senza ascoltare. Immancabilmente, tra tanto berciare, la delega decisiva finisce al giudice. La peggiore sconfitta, in campo educativo. Con un solo vantaggio, amarissimo: i ragazzi imparano subito, a spese loro, che nel Sistema Italia bisognerà sempre muoversi con un buon avvocato.