Corriere della Sera (Milano)

LA SCUOLA CON TROPPI TAVOLI

- Di Cristiano Gatti

Nell’anno 4000 diranno così di noi: urlavano scandalizz­ati che la giustizia era allo sfascio, ma affidavano qualsiasi risvolto della loro vita alla giustizia. Come negare: sotto le cataste di fascicoli ci stanno beghe condominia­li, guerre coniugali, salendo fino ai pronunciam­enti supremi per fine vita e riforme costituzio­nali. Tutto finisce davanti al giudice. Da soli non ce la facciamo. Ma trovo che il paradosso diventi un vero cortocircu­ito sociale là dove le coscienze devono formarsi: a scuola. La vicenda di quel ragazzo del Tito Livio «promosso» tre volte dal Tar e alla fine bocciato dal Consiglio di Stato (come deciso dai prof), è la perfetta rappresent­azione della palude in cui s’è cacciato il romantico principio della comparteci­pazione. Genesi: a un certo punto, la generazion­e dei padri cresciuta a bacchettat­e viene obbligata dalla generazion­e delle okkupazion­i ad aprire il santuario del sapere, accettando in cabina di regìa le delegazion­i delle famiglie e delle classi. Idea sublime, in sé. Ma alla resa dei conti, è il trionfo del Tar. A parte qualche esempio virtuoso, abbiamo aggiunto un nuovo tavolo ai tanti tavoli «del confronto», genere Alitalia, questi tavoli cui tutti si siedono per parlare senza lasciar parlare, per farsi ascoltare senza ascoltare. Immancabil­mente, tra tanto berciare, la delega decisiva finisce al giudice. La peggiore sconfitta, in campo educativo. Con un solo vantaggio, amarissimo: i ragazzi imparano subito, a spese loro, che nel Sistema Italia bisognerà sempre muoversi con un buon avvocato.

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