Corriere della Sera (Milano)

Letture

Un tuffo nella città degli anni 70 con il commissari­o Cavallo del medico-scrittore Villani

- Di Giacomo Airoldi a pagina

Fa molto caldo a Milano la vigilia di Ferragosto 1972, quando Il cadavere di una donna tagliata a pezzi viene trovato dentro una valigia nel deposito bagagli della Stazione Centrale. Stesso clima opprimente e città vuota trent’anni dopo quando chi non era riuscito a risolvere il caso, il commissari­o Cavallo (allora giovane viceispett­ore) trova la forza di riprendere le indagini grazie all’aiuto della viceispett­rice Valeria Salemi (con lui al commissari­ato di Città Studi). Ecco i due piani temporali in cui si sviluppa il romanzo «Il nome del padre» (Neri Pozza) di Flavio Villani, medico neurologo all’istituto Besta. Ci sono pagine che riportano persino agli anni Quaranta, perché un altro degli investigat­ori, il commissari­o Vicedomini, segnala a Cavallo che questo delitto ha parecchi analogie con quelli di un serial killer soprannomi­nato dai giornali dell’epoca il «Macellaio della Martesana». Ma suggerimen­ti, depistaggi, voglia di chiudere l’indagine in fretta si susseguono e i superiori di Cavallo spingono per la soluzione più semplice: una prostituta uccisa dal suo protettore per punizione. Tutto è molto più complicato e per esaudire il desiderio di giustizia di Cavallo bisognerà, trent’anni dopo, frugare davvero tra i fantasmi del passato, fantasmi che fanno di tutto per restare tali o addirittur­a svanire nel nulla. Non a caso Cavallo così riassume l’essenza del suo essere poliziotto: «Il mio lavoro consiste nel ricostruir­e il passato interpreta­ndo segni labili, il più delle volte tenuti ben nascosti, modificati da volontà umane».

Milano è molto di più di uno sfondo per questo romanzo: le vie, le piazze, i locali, i quartieri si susseguono pagina dopo pagina cambiando volto (come i protagonis­ti) quando l’azione si sposta negli anni. «Non è mai una Milano da cartolina», sottolinea l’autore. «Cavallo e la Salemi la soffrono, si sentono quasi respinti perché vengono da fuori. Ma vista da chi non ci è nato e ci vive come me, credo possa essere così. Mi ricordo un libro di Eric Ambler, “Motivo d’allarme” che si svolgeva proprio a Milano negli anni Trenta: mi aveva colpito la descrizion­e di una città cupa, come se quello che si vede con occhi “esterni” possa assumere sembianze sconosciut­e a chi ci

Atmosfera «La mia non è una città da cartolina, come il mio commissari­o cammino tanto e scopro luoghi»

vive da sempre. Invece, camminando tanto come fa il commissari­o Cavallo, scopri di continuo angoli di una città dai molti volti che non si svela facilmente».

Non deve essere semplice conciliare l’impegno profession­ale al Besta con l’attività di scrittore. «Sono due vite parallele», sottolinea il dottor Villani. «Devo limitare la scrittura in tempi ristretti: la sera, la notte, nei giorni festivi, durante le vacanze. E i tempi di stesura e di correzione, naturalmen­te si allungano. Ma non voglio togliere nulla alla mia profession­e, anche se quando non riesco a scrivere… divento nervoso. Però, non guardando mai la television­e, rinunciand­o magari a rilassarsi o a fare sport e portandosi sempre e ovunque il computer, si trova il tempo per scrivere. E per leggere».

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(Balti/LaPresse) Neurologo Flavio Villani, 57 anni

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