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«Il mio amico Gaber» Gian Piero Alloisio racconta il Signor G
«Il matrimonio è noioso, così uno si innamora di un’altra piu giovane della moglie, mette su casa e rifà la stessa identica vita di prima, con una donna nuova sperando che succeda qualcosa». Parole di Giorgio Gaber raccolte dal suo braccio sinistro (il destro era Sandro Luporini) Gian Piero Alloisio, nel libro «Il mio amico Gaber» (Utet). Il cantante e
autore genovese porta il lettore nel pianeta notturno di Gaber. Che vive in un perenne jet lag svegliandosi alle 3 del pomeriggio per coricarsi dopo l’alba dopo aver lavorato almeno fino alle 5 del mattino. Perché? «Prima di addormentarmi — spiegava Gaber ad Alloisio che si doveva adeguare a questi orari — voglio essere sicuro che il mondo abbia ripreso a funzionare, non si sa mai». Nel libro si descrive l’atmosfera di casa Gaber in via Frescobaldi, l’officina in cui il signor G e Alloisio creavano. Con Luporini invece Gaber lavorava a Viareggio. «Cercavamo — ricorda Alloisio — di arrivare alla verità di un testo o di una musica affinando pensieri disordinati. Si scherzava sulla vita, ciascuno aveva il diritto di veto. C’era una totale aria di libertà, nulla di codificato. Entravi disgregato e uscivi ricomposto».
Il primo incontro fra Gaber e Alloisio avvenne nel 1978 durante un concerto mattutino al teatro Cristallo di Milano dove Alloisio suonava con l’Assemblea Teatrale e musicale per i ragazzi che marinavano la scuola. «Rimase colpito dalla scrittura di canzoni come “Venezia” e “Marilyn” e alla fine dello show venne in camerino».
Gaber era convinto che non più del 15% del pubblico capiva quello che stava dicendo in scena. Io obiettai: gli altri 85% perché vengono? «Semplice — rispondeva Gaber — vengono perché gli piace lo spettacolo». Così nel diario di Alloisio si comprende come Gaber avestante se due diversi tipi di fruitore: quello che capiva i concetti e una maggioranza che veniva per ridere delle battute, per la qualità teatrale, per l’originalità della regia. Lui anticipava di un frazione di secondo il gesto rispetto alla battuta creando microsorprese. Fra le canzoni più fortunate nate dalla collaborazione del trio Gaber-Colli-Alloisio una canzone che, scritta per la Colli, in realtà venne cantata in un primo tempo da Jannacci (assiduo frequentatore di via Frescobal- di insieme a Guccini e Battiato) si intitolava «La strana famiglia» e dileggiava la tv del dolore. «Vi presento la mia famiglia non si trucca non si imbroglia è la più disgraziata d’Italia, ma anche se soffriamo molto noi facciamo un buon ascolto siamo quelli con l’audience più alta». «La genesi è curiosa», ricorda», Alloisio. «Un giorno portai un amico greco con problemi di tossicodipendenza nella villa dei Gaber chiamata La Padula. Qualche mese dopo lo vedemmo in tv piangente che raccontava della sua condizione. E Gaber cominciò a provocarmi: vedi, lui va in tv a te non ti fila nessuno, un tossico disperato fa più ascolti di un artista».
Il messaggio del libro è univoco: con Gaber è finita un’epoca. Irripetibile. «Quando è morto ho ripensato a un monologo di Gaber-Luporini sulla “la paura di ritrovarsi a piangere per un filmaccio di quarta categoria e non per la morte di qualcuno che abbiamo amato”. A me piangeva tutto il corpo».
Bioritmi «Viveva in un perenne jet lag: si svegliava alle 3 del pomeriggio per poi lavorare fino all’alba»