TRE TORRI E DUE STILI DIVERSI
La nuova torre che completerà il rifacimento del Teatro alla Scala nei prossimi anni consente di osservare due modi di intendere la modernità architettonica. Sull’area dell’ex Fiera Campionaria sono già sorti due grattacieli (quelli di Arata Isozaki e di Zaha Hadid) ed è in costruzione quello di Daniel Libeskind. Sono il Dritto, lo Storto e il Curvo e sono tre torri dell’età del Decostruttivismo internazionale collocate in uno spazio libero come tre astronavi atterrate in città. I tre elementi progettati da Mario Botta per la Scala (la Torre scenica quadrata, il cilindro e la torre neomedioevale in costruzione), sono invece progettate in un luogo denso e simbolico come la Scala, che viene conservato. I tre grattacieli di Citylife nulla hanno a che vedere con la storia urbana e con il contesto. Sono esempi di quello che Salvatore Settis in Architettura e domocrazia (il libro Einaudi sarà presentato oggi, alle 19.30, all’Accademia di Mendrisio) definisce esempi di «corporate skyline», dove al big business corrisponde il big building. Milano li ha «catturati» quali esempi dell’età del globalismo finanziario. I funghi di Botta sono invece un esempio di come costruire il moderno sull’antico rispettando la preesistenza e generando un linguaggio contemporaneo ricavato dallo studio delle tipologie della storia urbana in cui si collocano. Qui la città è un territorio della memoria. Questi due trittici di torri ci fanno capire la densità di una città e la pluralità dei linguaggi che può ospitare.