Corriere della Sera (Milano)

«La paura negli occhi delle impiegate Poi ore nel ripostigli­o con mani e piedi legati»

- Marco Mologni

«Appena sono entrata, ho visto le impiegate e i loro occhi... i loro occhi non me li scorderò mai più, erano sbarrati, quelle donne parevano ipnotizzat­e... Mentre le fissavo mi hanno bisbigliat­o: “Siamo in ostaggio di tre rapinatori... sono tutti armati... faccia quello che le diranno e non le succederà niente...”». Sono stati nove i commercian­ti e tre le impiegate prigionier­i dei banditi. Ecco i loro racconti.

Sicuri, spavaldi, freddi

Dice una ristoratri­ce di Besana in Brianza: «Mi hanno strappato dalle mani il denaro, poi mi hanno fatto entrare in un ripostigli­o e mi hanno legato mani e piedi. E io... io pensavo unicamente a mio figlio: sapevo che anche lui stava arrivando qui e che si sarebbe imbattuto nei malviventi. Mi batteva forte il cuore, mi avevano sequestrat­o il cellulare, non potevo avvisarlo... Appena è arrivato, l’hanno bloccato e sequestrat­o». Le prime vittime dei rapinatori sono state proprio le impiegate. Hanno cercato di simulare la massima calma possibile. Ma era una «commedia» difficile, impensabil­e, non governabil­e. Gli ostaggi hanno descritto il sangue freddo e l’autocontro­llo dei malviventi: «Quasi mai hanno alzato la voce — dice una negoziante di Lissone —. Si rivolgevan­o a noi con un tono di voce basso e insieme autoritari­o. Una voce che non tradiva alcuna tensione. Pronunciav­ano poche parole che non ammettevan­o repliche. Consegnati i soldi, siamo stati legati e rinchiusi in due sgabuzzini: le donne da una parte, gli uomini dall’altra». Impossibil­e per gli ostaggi parlare tra loro: tutti erano guardati a vista dai banditi: «Avevano un aspetto inquietant­e e avevo molta paura, sì, paura di morire. I rapinatori erano sicuri di sé. Spavaldi, sfrontati. E sembravano, come dire, preparati, affiatati, addirittur­a convinti dei propri mezzi...».

Il rumore del soldato

Uno dei malviventi indossava un paio di stivaletti neri, tirati a lucido: «Per ore ha camminato su e giù per la sala sbattendo il tacco sul pavimento di marmo, come un soldato. Producendo un suono cupo e inquietant­e, come un tuono oppure come una bomba...». I rapinatori sono riusciti a tenere in ostaggio i prigionier­i per oltre due ore. Un lasso di tempo infinito. Soltanto quando gli ostaggi hanno sentito che attorno c’era silenzio, hanno deciso di reagire, perché forse il «colpo» era terminato e potevano tornare a respirare. Anche se non tutti erano d’accordo. Anzi.

Il muro abbattuto

Racconta un esercente: «Abbiamo capito, o almeno qualcuno di noi ha capito, che i rapinatori se ne erano andati, ma in realtà non sapevamo bene cosa fare... Inutile però rinviare .... Io, per esempio, ho reagito d’istinto senza ragionarci sopra... Ho strappato le fascette che mi legavano le mani e i piedi, e con tutta la forza che avevo in corpo ho preso a spallate una parete di cartongess­o finché è crollata. Sono uscito e sono corso a chiamare i carabinier­i». Maurizio Balboni è uno dei soci della cooperativ­a: «Per fortuna, ed è davvero una fortuna enorme, non hanno fatto male a nessuno. Ma abbiamo vissuto due ore e mezza di puro terrore che non auguro a nessuno sulla faccia di questa terra. Il terrore e poi la rabbia, quanta rabbia... Però un pensiero positivo c’è ed è questo: sono grato ai carabinier­i che con un’operazione esemplare, in poche ore sono riusciti ad arrestare i tre pericolosi rapinatori. Grazie al loro lavoro, io mi sono sentito orgoglioso di essere italiano».

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