IMPARARE DAL CINESE IN CLASSE
Dunque, il 15 per cento delle scuole di Milano ha attivato corsi di lingua cinese: nessuna città in Italia è a questi livelli. Lo scriveva ieri Elisabetta Andreis su queste pagine ed è una buona notizia. Non un punto di arrivo, naturalmente, ma certo la prova che il tessuto educativo, culturale e sociale del capoluogo lombardo sta assimilando e interpretando le sollecitazioni a un’ambiziosa apertura al mondo. Molto del merito va alle istituzioni scolastiche e accademiche di Milano, dove sono attivi — circostanza non frequente — ben due Istituti Confucio, uno presso l’Università Statale e uno alla Cattolica. Quest’adesione convinta a una proposta formativa fino a pochi anni fa impensabile non dimostra solo che gli orizzonti di Milano si sono allargati: certifica la consapevolezza della città di essersi trasformata. Anche così si esprime il bisogno di energia nuova. È la necessità di capire e di capirsi, di partecipare a una metamorfosi che va oltre il radicamento delle seconde e terze generazioni di immigrati, oltre le proprietà cinesi di Inter e Milan o l’effervescenza di via Paolo Sarpi. C’è tanta Cina a Milano che non va sprecata, così come meritano d’essere valorizzati tanti altri contributi. A questo punto, però, la città deve essere pronta a un passo ulteriore. Non lasciare che gli studenti milanesi restino avanguardie senza seguito: non sono cavie. Occorre una rete di opportunità che ne metta a frutto i talenti e le competenze. Impariamo dalla loro curiosità, dal loro coraggio. Conviene a tutti.