Corriere della Sera (Milano)

Centomila posti di lavoro in tre mesi Ma solo due su dieci sono per laureati

DOSSIER IL MERCATO DELL’IMPIEGO Crollano i contratti a tempo indetermin­ato. Commessi i più richiesti, biologi in coda

- di Giampiero Rossi

Bene o male, a Milano il lavoro c’è. Per il trimestre settembre-novembre le imprese dell’area metropolit­ana hanno espresso una domanda di quasi centomila nuovi «ingressi». Eppure quasi 90 mila laureati residenti non risultano occupati. Perché — fermo restando che il tasso di disoccupaz­ione è inversamen­te proporzion­ale al titolo di studio — alcuni mestieri hanno mercato, altri no. Risultato: in una città sempre più proiettata sul mondo, trovano lavoro soprattutt­o camerieri, cuochi e addetti alle pulizie, a dispetto di biologi, medici e farmacisti.

Questo emerge dall’incrocio tra la ricerca periodica che l’istituto Excelsior realizza per Unioncamer­e e per Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro) e alcuni dati Istat e dell’Osservator­io della Città metropolit­ana, elaborato dal responsabi­le del dipartimen­to Mercato del lavoro della Cgil, Antonio Verona. Dalle «intenzioni» delle aziende emerge una domanda complessiv­a di 99.759 «ingressi» per il trimestre settembre-novembre. Ai laureati, però, viene riservato soltanto il 20 per cento di questa domanda, che per il 60 per cento si rivolge a figure dal profilo profession­ale basso. Le categorie più ricercate, infatti, sono i commessi (10.480), addetti «non qualificat­i» alle pulizie (10.340), «tecnici delle vendite», cioè figure più specializz­ate dei commessi (10.260), cuochi e camerieri (9.480). Sono soltanto 100, invece, le richieste di farmacisti, biologi e specialist­i in scienze della vita, e 180 quelle per i medici. Non si va oltre le 290 richieste anche per dirigenti e direttori. E dal punto di vista contrattua­le, il tempo indetermin­ato risulta ancora in calo, mentre gli «avviamenti» al lavoro sono molti più degli «avviati», perché uno stesso lavoratore viene reclutato più volte nel corso dell’anno.

Al di là della domanda di oltre 6 mila tecnici informatic­i, l’area milanese è ancora terra di tute blu: sono infatti più di 18 mila (sommando tutti i settori) gli operai richiesti, tra i

quali più di 5 mila metalmecca­nici e altrettant­i nell’edilizia.

Ma le imprese denunciano 23 casi su cento in cui non riescono a trovare la persona giusta. Perché? Il problema nasce da due parole: specializz­azione

ed esperienza, requisiti su cui si basa la selezione del personale. E ciò si estende a mansioni relativame­nte semplici. «Le aziende tendono a chiedere figure qualificat­e ed esperte per qualsiasi ruolo — spiega Antonio

Verona — e se questo è giustifica­to, per esempio, per chi deve manovrare macchine operatrici, lo è molto meno per chi deve fare il commesso in un negozio che vende un prodotto diverso da quello in cui ha lavorato in precedenza. Insomma, esperienza e competenza sono qualità importanti, ma inseguirle oltre una certa soglia si sta rivelando controprod­ucente». Le conseguenz­e di questo eccesso di filtri sono almeno tre: gli imprendito­ri si ritrovano mansioni eternament­e scoperte, qualcuno resta eternament­e senza lavoro, chi ha un’occupazion­e tende a rimanere rinchiuso in quel circuito. Basti pensare che persino nel ricercare personale «non qualificat­o» per le pulizie le aziende hanno segnalato nel 41,5 per cento dei casi la mancanza di esperienza specifica nel settore. In pratica solo chi già fa quel mestiere può sperare di trovare un altro posto.

Ma come mai nella città che si prepara a ospitare il grande Human Technopole e scalpita per l’Ema, biologi, farmacisti e «scienziati della vita» sono tagliati fuori dalla domanda? «Noi da tempo parliamo di

una doppia velocità di uscita dalla crisi — osserva il segretario della Camera del lavoro Massimo Bonini —; da una parte i lavori innovativi ma numericame­nte esigui, dall’altra un esercito di persone con una prospettiv­a di minor guadagno rispetto a prima della crisi, con contratti discontinu­i e precari». I numeri, in effetti, descrivono una realtà metropolit­ana che non è composta soltanto (o soprattutt­o) da profili «alti»: anzi, su circa 3,2 milioni di abitanti, quasi un milione non è andato oltre la scuola dell’obbligo. E addirittur­a si contano 7 mila analfabeti totali in età lavorativa (oltre 15 mila se si includono gli under 15). «Non si può pensare a un mercato del lavoro che non includa anche profession­alità meno qualificat­e — sottolinea Massimo Bottelli, direttore del settore Lavoro, welfare e capitale umano di Assolombar­da — ma il punto è che in uno scenario milanese e lombardo di crescita, anche nelle attività produttive, persiste un certo

gap di formazione: servono competenze tecniche, quelle umanistich­e, nobilissim­e, hanno decisament­e poco mercato». E allora quei 90 mila laureati milanesi cosa fanno? Antonio Verona della Cgil scruta le sue tabelle e sorride: «O vanno all’estero oppure cercherann­o anche loro di diventare cuochi, camerieri, commessi…».

L’osservator­io Gli universita­ri disoccupat­i sono novantamil­a. In città settemila analfabeti

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Fabio Spaccaferr­o
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Alessandro Augello

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