La dinastia dei calessi: qui viaggiavano i Savoia
Pavia, nella tenuta di Alfredo De Paoli L’erede della famiglia che sui suoi calessi faceva viaggiare i Savoia
A Villa Alfredo il tempo PAVIA sembra essersi fermato. Qui sono parcheggiate le carrozze utilizzate dai Savoia e conosciute persino in Giappone. La tenuta di Alfredo De Paoli è un mondo a parte che si svela a pochi passi dal centro di Pavia. Un tempio equestre con un maneggio e tre puledri, la casa padronale con tanto di stemma araldico ed il cascinale lombardo costruito nel 1882 in cui sono racchiusi 68 anni di vita dedicati ai cavalli. Migliaia di cimeli raccontano una passione di famiglia iniziata dal bisnonno Angelo nel 1850 e poi portata avanti per quattro generazioni. Selle da amazzone, fruste e frustini, finimenti da carrozza, attrezzi da maniscalco e da cocchiere, abiti di lino e pizzo per signora, sono ordinati nelle sale della scuderia quasi fosse un museo. «La mia è una collezione privata, non un museo — spiega Alfredo —. Ho provato a farla diventare una mostra permanente aperta al pubblico, ma gli intoppi burocratici sembravano infiniti, così ho deciso di mostrarla soltanto ai veri appassionati che mi vengono a trovare».
Tra i documenti è visibile la pergamena di fondazione della ditta De Paoli, nata come azienda di trasporto, che comprendeva dal servizio rifiuti, al corteggio, alle pompe funebri: «Il nostro era l’antenato del filobus e della corriera. Accompagnavamo signori, principi e marchesi, da Pavia sa Milano in otto ore. Arrivati nelle campagne di Binasco si faceva la sosta: il cocchiere stendeva una coperta e apriva fiaschette di vino e cesti di vimini con le provviste per il pranzo». Si fanno notare le fotografie delle gare di eleganza internazionale vinte da Alfredo con le sue carrozze. Di questi bellissimi calessi ce ne sono ancora venti; alcuni hanno avuto una vita curiosa: c’è la berlina utilizzata dai Savoia in visita in città, il Phaeton Betaillers, una sorta di antico furgone, con il quale si facevano i mercati, landò, cabriolet, una carrozza slitta per gli inverni nevosi ed il cocchio funebre di Renato Rascel nel film «Il Cappotto». Una mania per i cavalli che ha portato Alfredo non solo a montarli, ma a diventare giudice di gara: «Sono stato giudice internazionale di attacchi. C’è un
dress code preciso quando si partecipa a queste competizioni: la carrozza non deve essere soltanto ben tenuta e arredata, ma occorrono paramenti idonei all’evento; dame e cavalieri devono essere agghindati ed abbinati con i giusti colori, il cappello perfetto a seconda della stagione o del luogo, guanti e gioielli compresi».
Alfredo De Paoli mostra fiero ogni suo tesoro. La raccolta si allarga grazie a donazioni di amici e cavalieri ormai in pensione. Quando sono i giovani a fargli visita, «il signore delle carrozze» si trasforma in maestro: «Spiego come si utilizzano le varie imboccature (morsi), i ferri da cavallo correttivi. Ho persino allestito La Posta, un angolo di scuderia, dove si attaccava il cavallo, con rastrelliera per il fieno e mangiatoia, e una sorta di officina in cui si faceva manutenzione alle carrozze per mostrare ai ragazzi come si lavorava un tempo». Facoltosi appassionati lo hanno lusingato, ma di vendere la collezione non se ne parla: «Sono arrivati persino da Oriente con interessanti offerte, ma questa è la mia vita, e non finirà in nessun museo se non qui nella mia cascina».
Collezione
Ho provato per vent’anni a dar vita a una mostra permanente aperta al pubblico. Troppa burocrazia, ho lasciato perdere
Il passato
I nostri mezzi erano gli antenati di filobus e corriere. Per andare a Milano ci volevano 8 ore con sosta per il pranzo a Binasco