La paura dei profughi
Ho letto la lettera del signor Filippo Sansonna su Radetzky e ho solo un aggettivo: stupefacente. Ricordo che quando Radetzky rientrò nella nostra città — il 6 agosto 1848 — già da tre giorni tra 70 e 90 mila milanesi (allora la città contava 180 mila abitanti) si erano incamminati verso la frontiera piemontese del lago Maggiore e verso i valichi della Svizzera. Diverse colonne di profughi intasavano le strade.
Fuggivano tutti. Se ne andò anche Manzoni. Fuggivano tutti da Radetzky. Ci sono cronache raggelanti e commoventi su questo esodo. Così come ci sono precise cronache, anche di fonte austriaca, sugli orribili eccidi perpetrati dagli uomini del feldmaresciallo durante le Cinque Giornate.
È semplicemente uno scandalo che alla Scala si suoni la Marcia di Radetzky che, ricordo, fu composta proprio per il rientro dell’armata austriaca in Milano.
La marcia si chiama così per indicare esattamente il rientro vittorioso del feldmaresciallo da Verona, dove si era rifugiato, a Milano. Poi, sul presunto buon cuore di Radetzky e sul suo presunto amore per la nostra città che, si dice, lo portò a non bombardarla si dovrebbe tacere, almeno per rispetto ai morti. Occorrerebbe documentarsi. Ma la memoria non è corta, è nana. E si beffa dei nostri eroi.