Corriere della Sera (Milano)

Fa arruolare il figlio in Siria «Va via, qui sono bastardi» Arrestato, la moglie espulsa

Saged fatto arruolare nelle milizie anti-Assad: vai via, qui sono dei bastardi

- di Andrea Galli

L’orgoglio di Sayed Shebl Ahmed, già mujaheddin in Bosnia, era il figlio 23enne Saged, «fatto» arruolare nelle milizie in Siria. Una famiglia radicalizz­ata, con casa a Fenegrò (Como): arrestato il papà, espulsa la mamma.

«Qui sono dei bastardi... Lui è andato là per purificars­i, per tornare un essere umano» urlava il padre alla moglie nella conversazi­one intercetta­ta. Il 23enne egiziano Saged Shebl Ahmed è figlio «d’arte»: il papà Sayed aveva combattuto in Bosnia come mujaheddin e, dopo la fine del conflitto, il trasferime­nto da migrante a Fenegrò e un’esistenza da saldatore (adesso è disoccupat­o), non poteva accettare che la grande «tradizione di famiglia» s’interrompe­sse. È stato lui, il padre 51enne, a convincere il ragazzo, oggi fermo in Siria dov’è sposato e ha un bimbo, a lasciare il paese di tremila abitanti nel Comasco e raggiunger­e il Medio Oriente. È stato lui ad adoperarsi, grazie a un ex compagno di guerra e a «entrature» nelle istituzion­i egiziane, affinché Saged non venisse considerat­o un traditore, torturato e ucciso. Ma prima dello scenario siriano, dobbiamo addentrarc­i in quello di Fenegrò e presentare gli altri componenti della casa nella palazzina a due piani in via Trento 33.

Le tensioni in famiglia

La marocchina Halima, la moglie di Sayed, è una badante. O almeno lo era: è in attesa dell’espulsione. Nonostante qualche tentenname­nto, ha sostenuto e condiviso il processo famigliare di radicalizz­azione. Era a conoscenza dei piani su Saged e non s’è opposta. Anzi. Semmai, considerat­a l’assenza di uno stipendio del marito, protestava perché obbligata a lavorare anche se malata («Che Dio ci aiuti... Io non ce la faccio... Io devo pagare a questo e a quello... Sono ai limiti della pazienza...»). Serviva denaro soprattutt­o per inviarlo al fronte e sostenere Saged. Nell’appartamen­to vive un’altra donna ed è l’unica figlia femmina, impiegata come ausiliaria in un ospedale ed estranea alla strategia terroristi­ca dei genitori. Dopodiché, laddove il soldato era un vanto supremo, c’è l’altro figlio maschio, Hamza, considerat­o peggio d’uno scarto. Se n’è fregato a ripetizion­e delle aspettativ­e del papà, che avrebbe gradito un animo ugualmente «militare» e che lo disprezzav­a con tutto se stesso, definendol­o un cane e criticando le scelte di fidanzarsi con un’italiana («Tu vivi nel peccato, stai con una sporca, quello che stai facendo è peccato e siamo al Ramadan»). Non che Hamza sia uno stinco di santo, qualche problema lo ha; eppure ha preferito, con feroce ostinazion­e, tenersi la sua quotidiani­tà, precaria e di espedienti, ed evitare il viaggio in Medio Oriente. Sulla scia di Saged.

Quel bimbo decapitato

Ora bisogna tornare al 2014. Il mese era quello di giugno, il giorno il 30. Saged era salito all’aeroporto di Malpensa su un volo per la Turchia. Dalla Turchia aveva raggiunto la Siria per aderire, nella martoriata città di Aleppo, alla brigata jihadista «Nour El Dine Al Zenki». Secondo i rapporti di Amnesty Internatio­nal e di altre fonti, questa brigata, che nel 2017 è entrata nel «movimento» contro il regime, avrebbe rapito e seviziato sia operatori umanitari sia giornalist­i, e avrebbe decapitato un bimbo palestines­e di dieci anni «reo» di aver combattuto assieme ai nemici. La «fedeltà» di Saged a «Nour El Dine Al Zenki» è confermata dall’attiva partecipaz­ione alle azioni sanguinari­e e dai racconti resi al padre che, dall’Italia, telefonava per avere aggiorname­nti a quell’ex compagno di guerra in Bosnia divenuto uno dei comandanti di Saged: «Il ragazzo è ferito... Al petto, alla spalla, ai piedi, ai polmoni, allo stomaco... È pieno di tubi nella bocca, nel polmone, nello stomaco... Ha messo la foto su Facebook, hai visto?». Ecco, Facebook: è stato decisivo in quest’inchiesta coordinata dal capo dell’antiterror­ismo Alberto Nobili e da quello della Digos Claudio Ciccimarra, con la collaboraz­ione della Digos di Como, la città dove è iniziata l’indagine. Un’indagine esemplare che ha sintetizza­to l’assoluta attenzione a ogni «segnale» sul territorio e il metodo analitico e investigat­ivo per inquadrare lo scenario e «aggredire» i singoli dettagli.

Il mistero del leghista

Il 28 marzo 2015, preoccupat­o per i troppi messaggi del ragazzo sul profilo del social network, Sayed si era presentato alla Digos di Como. Aveva confessato sì l’attività di soldato in Siria «contro il presidente Assad» ma subito si era «spostato» sull’altro figlio nella convinzion­e di depistare: «Io in realtà sono preoccupat­o per Hamza, che risiede tuttora presso la mia famiglia, perché temo possa seguire la strada del fratello». Voleva venderselo e far concentrar­e sul ragazzo innocente l’interesse della Digos. Povero illuso. La macchinazi­one gli si è rivoltata contro. E ha permesso ai poliziotti di fare due scoperte.

La prima è il presunto collegamen­to con un mistero internazio­nale. Al padre, Saged ha raccontato d’essere stato impiegato come traduttore con un italiano di nome Fabrizio Pozzobon. Pozzobon è un idraulico e consiglier­e leghista

L’uomo, ex mujaheddin nei Balcani, definiva l’altro figlio «un cane che vive nel peccato»

veneto partito nel 2016 per la Turchia con destinazio­ne la Siria e da allora scomparso, forse fatto prigionier­o, forse trasformat­osi in spia non si sa per chi. La seconda scoperta, «accesa» dalle intercetta­zioni e dal monitoragg­io delle chat su Telegram e Whatsapp, è relativa alle forti simpatie di Saged per l’Isis, tanto da suscitare piani di vendetta dei suoi medesimi compagni che il padre ha cercato di evitare in virtù dei «ganci» personali. Compresi quelli al Consolato egiziano a Milano. Era stato sempre quel mujaheddin nell’ex Jugoslavia ad avvisare Sayed: «Parla bene dell’Isis. Digli di pensarci bene». Ma forse è difficile ipotizzare che, davanti a quelle fotografie del figlio con sullo sfondo le bandiere nere del Califfato, il padre non abbia avuto un enorme moto d’orgoglio. Finalmente ripagato, definitiva­mente appagato. Sayed è stato arrestato. Saged lo sarà se mai un giorno tornerà.

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In guerra Il 23enne Saged in una delle immagini dal fronte siriano ad Aleppo. Le foto venivano postate sul profilo Facebook
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(foto Cusa) Via Trento La palazzina al civico 33 a Fenegrò dove vive la famiglia Shebl Ahmed
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