Fa arruolare il figlio in Siria «Va via, qui sono bastardi» Arrestato, la moglie espulsa
Saged fatto arruolare nelle milizie anti-Assad: vai via, qui sono dei bastardi
L’orgoglio di Sayed Shebl Ahmed, già mujaheddin in Bosnia, era il figlio 23enne Saged, «fatto» arruolare nelle milizie in Siria. Una famiglia radicalizzata, con casa a Fenegrò (Como): arrestato il papà, espulsa la mamma.
«Qui sono dei bastardi... Lui è andato là per purificarsi, per tornare un essere umano» urlava il padre alla moglie nella conversazione intercettata. Il 23enne egiziano Saged Shebl Ahmed è figlio «d’arte»: il papà Sayed aveva combattuto in Bosnia come mujaheddin e, dopo la fine del conflitto, il trasferimento da migrante a Fenegrò e un’esistenza da saldatore (adesso è disoccupato), non poteva accettare che la grande «tradizione di famiglia» s’interrompesse. È stato lui, il padre 51enne, a convincere il ragazzo, oggi fermo in Siria dov’è sposato e ha un bimbo, a lasciare il paese di tremila abitanti nel Comasco e raggiungere il Medio Oriente. È stato lui ad adoperarsi, grazie a un ex compagno di guerra e a «entrature» nelle istituzioni egiziane, affinché Saged non venisse considerato un traditore, torturato e ucciso. Ma prima dello scenario siriano, dobbiamo addentrarci in quello di Fenegrò e presentare gli altri componenti della casa nella palazzina a due piani in via Trento 33.
Le tensioni in famiglia
La marocchina Halima, la moglie di Sayed, è una badante. O almeno lo era: è in attesa dell’espulsione. Nonostante qualche tentennamento, ha sostenuto e condiviso il processo famigliare di radicalizzazione. Era a conoscenza dei piani su Saged e non s’è opposta. Anzi. Semmai, considerata l’assenza di uno stipendio del marito, protestava perché obbligata a lavorare anche se malata («Che Dio ci aiuti... Io non ce la faccio... Io devo pagare a questo e a quello... Sono ai limiti della pazienza...»). Serviva denaro soprattutto per inviarlo al fronte e sostenere Saged. Nell’appartamento vive un’altra donna ed è l’unica figlia femmina, impiegata come ausiliaria in un ospedale ed estranea alla strategia terroristica dei genitori. Dopodiché, laddove il soldato era un vanto supremo, c’è l’altro figlio maschio, Hamza, considerato peggio d’uno scarto. Se n’è fregato a ripetizione delle aspettative del papà, che avrebbe gradito un animo ugualmente «militare» e che lo disprezzava con tutto se stesso, definendolo un cane e criticando le scelte di fidanzarsi con un’italiana («Tu vivi nel peccato, stai con una sporca, quello che stai facendo è peccato e siamo al Ramadan»). Non che Hamza sia uno stinco di santo, qualche problema lo ha; eppure ha preferito, con feroce ostinazione, tenersi la sua quotidianità, precaria e di espedienti, ed evitare il viaggio in Medio Oriente. Sulla scia di Saged.
Quel bimbo decapitato
Ora bisogna tornare al 2014. Il mese era quello di giugno, il giorno il 30. Saged era salito all’aeroporto di Malpensa su un volo per la Turchia. Dalla Turchia aveva raggiunto la Siria per aderire, nella martoriata città di Aleppo, alla brigata jihadista «Nour El Dine Al Zenki». Secondo i rapporti di Amnesty International e di altre fonti, questa brigata, che nel 2017 è entrata nel «movimento» contro il regime, avrebbe rapito e seviziato sia operatori umanitari sia giornalisti, e avrebbe decapitato un bimbo palestinese di dieci anni «reo» di aver combattuto assieme ai nemici. La «fedeltà» di Saged a «Nour El Dine Al Zenki» è confermata dall’attiva partecipazione alle azioni sanguinarie e dai racconti resi al padre che, dall’Italia, telefonava per avere aggiornamenti a quell’ex compagno di guerra in Bosnia divenuto uno dei comandanti di Saged: «Il ragazzo è ferito... Al petto, alla spalla, ai piedi, ai polmoni, allo stomaco... È pieno di tubi nella bocca, nel polmone, nello stomaco... Ha messo la foto su Facebook, hai visto?». Ecco, Facebook: è stato decisivo in quest’inchiesta coordinata dal capo dell’antiterrorismo Alberto Nobili e da quello della Digos Claudio Ciccimarra, con la collaborazione della Digos di Como, la città dove è iniziata l’indagine. Un’indagine esemplare che ha sintetizzato l’assoluta attenzione a ogni «segnale» sul territorio e il metodo analitico e investigativo per inquadrare lo scenario e «aggredire» i singoli dettagli.
Il mistero del leghista
Il 28 marzo 2015, preoccupato per i troppi messaggi del ragazzo sul profilo del social network, Sayed si era presentato alla Digos di Como. Aveva confessato sì l’attività di soldato in Siria «contro il presidente Assad» ma subito si era «spostato» sull’altro figlio nella convinzione di depistare: «Io in realtà sono preoccupato per Hamza, che risiede tuttora presso la mia famiglia, perché temo possa seguire la strada del fratello». Voleva venderselo e far concentrare sul ragazzo innocente l’interesse della Digos. Povero illuso. La macchinazione gli si è rivoltata contro. E ha permesso ai poliziotti di fare due scoperte.
La prima è il presunto collegamento con un mistero internazionale. Al padre, Saged ha raccontato d’essere stato impiegato come traduttore con un italiano di nome Fabrizio Pozzobon. Pozzobon è un idraulico e consigliere leghista
L’uomo, ex mujaheddin nei Balcani, definiva l’altro figlio «un cane che vive nel peccato»
veneto partito nel 2016 per la Turchia con destinazione la Siria e da allora scomparso, forse fatto prigioniero, forse trasformatosi in spia non si sa per chi. La seconda scoperta, «accesa» dalle intercettazioni e dal monitoraggio delle chat su Telegram e Whatsapp, è relativa alle forti simpatie di Saged per l’Isis, tanto da suscitare piani di vendetta dei suoi medesimi compagni che il padre ha cercato di evitare in virtù dei «ganci» personali. Compresi quelli al Consolato egiziano a Milano. Era stato sempre quel mujaheddin nell’ex Jugoslavia ad avvisare Sayed: «Parla bene dell’Isis. Digli di pensarci bene». Ma forse è difficile ipotizzare che, davanti a quelle fotografie del figlio con sullo sfondo le bandiere nere del Califfato, il padre non abbia avuto un enorme moto d’orgoglio. Finalmente ripagato, definitivamente appagato. Sayed è stato arrestato. Saged lo sarà se mai un giorno tornerà.