L’autobiografia di un cantoniere
1.027 pagine scritte con un solo dito su una vecchia Olivetti, e tra una parola e l’altra il «punto e virgola» per sembrare più importante. È l’autobiografia di Vincenzo Rabito, un bracciante siciliano semianalfabeta classe 1899, la storia di un uomo che cerca di riscattarsi dalla miseria nell’Italia dilaniata dalla guerra, un inno alla vita che diventa un testamento per tutti i figli dei migranti. Stasera al Teatro Officina è in scena la prima parte di «Terra matta», il monologo di
Stefano Panzeri (via Sant’Elembardo 2, ore 21, 10 euro, tel. 02.255.32.00). «Tutto è nato da quello straordinario testo depositato dal figlio di Rabito nell’Archivio dei Diari di Pontassieve», dice l’attore, «un’opera scritta in una lingua grezza e sincera, senza margini né interlinee in cui l’autore descrive tutto ciò che vive, dal primo ‘900 alla Grande Guerra, dalla campagna d’Africa alla dittatura fascista, fino al 1968 l’anno in cui suo figlio Giovanni si laurea in ingegneria». Un dattiloscritto che nel 2007 con Panzeri diventa un libro (pubblicato da Einaudi), ma anche l’inizio di un viaggio sulla memoria migrante italiana oltreoceano, «i loro ricordi dialogano con quelli di Vicenzo Rabito, li sentirete nella seconda tappa, domenica alle ore 16, la terza e ultima tappa (1943-1968) sarà invece in scena dal 2 al 4 febbraio».