Corriere della Sera (Milano)

I DOVERI NON VANNO IN VACANZA

- di Giuseppe Bertagna

La vicenda dei diciannove­nni del Tenca, che sarebbero stati costretti a rinunciare al diritto di voto del 4 marzo per una «gita scolastica» già programmat­a a settembre 2017 se non fosse intervenut­a la stampa che ha spinto le autorità scolastich­e a risolvere il problema, è certamente piccola. Ma come tutte le cose piccole può insegnare anche cose grandi. Le mettiamo in ordine di importanza. La prima. Sono 50 anni che si tenta, e non per nominalism­o, di chiamare «viaggi di istruzione» le «gite scolastich­e». In effetti, i primi servono per capire meglio temi e problemi che si stanno trattando in classe. E nondimeno per comprender­e la maturità del gruppo di studenti quando si lavora insieme, fuori dalle aule scolastich­e, in un’impresa, in un museo, in un’iniziativa culturale promossa in un’altra città eccetera. Dovrebbero quindi essere strumenti molto flessibili e periodici. Soprattutt­o in una scuola che intenda praticare sul serio l’alternanza formativa e quella scuola-lavoro. Niente: da 50 anni il messaggio non passa. E i «viaggi di istruzione» sono di nome e di fatto «gite». Per di più «scolastich­e». Come se la scuola fosse un’agenzia di viaggi. Programmat­e non sulle esigenze quotidiane della didattica, ma su tempi rigidi come per la sostituzio­ne delle ruote invernali delle auto. La seconda. Le scuole si lamentano dell’affollamen­to di impegni extracurri­colari che ci sarebbero a primavera.

«Tra open day, test universita­ri, referendum, elezioni e ballottagg­i, il calendario delle gite diventa un terreno minato», afferma il dirigente del Virgilio. Bene. Acquisito che i «viaggi di istruzione» non dovrebbero essere «gite scolastich­e», ci sarebbe un modo sicuro per sminare ulteriorme­nte il campo primaveril­e, ovvero chiedere quanto si impedì addirittur­a di discutere tra il 1999 e il 2001: far concludere cioè la secondaria a 18, non a 19 anni. A questo punto, referendum, elezioni e ballottagg­i disturbere­bbero molto meno il calendario scolastico. La terza cosa è la più importante. Lasciamo stare la retorica della Costituzio­ne più bella del mondo. Magari anche scolpita nella pietra, come le tavole di Mosè. Bisogna però anzitutto ribadire che la Costituzio­ne va conosciuta. Nelle sue cause efficienti, formali, materiali e finali. Ben fece, perciò, l’onorevole Moro, nel 1958, ad introdurre nella scuola l’insegnamen­to obbligator­io dell’educazione civica. E bene hanno fatto i governi successivi a potenziarn­e la presenza, pur cambiandol­e il nome, nei 13 anni di scuola pre universita­ria. Va tuttavia aggiunto che la conoscenza è inutile se non si trasforma in giudizio etico e soprattutt­o in testimonia­nza. È allora paradossal­e che un’istituzion­e dello Stato avesse previsto una gita all’estero di diciannove­nni che non potevano votare senza trasformar­e, al rientro delle vacanze, il divieto in un’occasione «civica» per proporne anche la modifica. Votare infatti è un dovere, oltre che un diritto. Ed è sulle piccole cose che diventano credibili i grandi principi costituzio­nali.

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