Corriere della Sera (Milano)

Il senzatetto: le notti in strada in cerca di riparo

Aldo, il manager che si è rialzato: ora aiuto la Caritas

- di Giampiero Rossi

«N oi li chiamiamo “canili” e li classifich­iamo in base alla qualità. Ma molti nei dormitori non ci vogliono andare perché non sopportano le regole e la convivenza ravvicinat­a». Aldo Scaiano, 66 anni, ha vissuto per strada per qualche anno. E adesso, che fa il volontario come «Gatto spiazzato» della Caritas, racconta le notti dei clochard in cerca di un riparo.

«Io ci andavo nei dormitori. Esiste tra noi una classifica­zione in base alla qualità: canile 1, canile 2, canile 3». Aldo Scaiano ride di gusto, come se rievocasse avventure dei tempi del liceo o della naia. Ma i suoi ricordi, a 66 anni suonati, sono storie di strada, di vita randagia, di sopravvive­nza alla giornata. E sono recenti. Perché la sua prima notte alla stazione Centrale risale a meno di cinque anni fa. «Impossibil­e dimenticar­la: vestito ancora per bene, con il libro in mano sembravo un passeggero che aveva perso l’ultimo treno. Ma già alla seconda notte i poliziotti ti riconoscev­ano. Così ho iniziato a girare per la città fino a quando ho scoperto gli aeroporti».

Scaiano è laureato, ha lavorato per tutta la vita in grandi aziende, aveva una famiglia. La sua caduta verticale assomiglia a quella di altri senzatetto. Una separazion­e traumatica in età matura, il prepension­amento che si rivela una trappola per effetto della riforma previdenzi­ale, il gruzzolett­o di risparmi che si assottigli­a sempre di più, quindi il vuoto. Compreso quello scavato con le proprie mani per isolarsi da amici e parenti.

Ancora oggi vive di pochissimo. Ma grazie a se stesso e all’appoggio trovato nella rete di solidariet­à milanese, è diventato a sua volta un volontario, soprattutt­o come «Gatto spiazzato» che fa base alla «Piazzetta», il rifugio diurno aperto dalla Caritas in viale Famagosta. Ed è un grande conoscitor­e dell’umanità fantasma che di notte si rannicchia negli anfratti della città. «Ho parlato con qualcuno che conosceva quel poveraccio che è morto in via Vittor Pisani — racconta —, credo fosse uno stanziale, considerav­a quello come il suo posto abituale, si capisce da tutta la roba che aveva lì accanto». Si lancia in analisi psico-metereolog­iche per ipotizzare le scelte che potrebbero essere state fatali nella notte di gelo intenso. E poi spiega perché, molti clochard rifiutano di andare a dormire al coperto: «Qualcuno magari ha subito un furto una volta e non ne vuole più sapere, perché quando non hai quasi niente non riesci a tollerare di essere derubato di quel poco, ma la maggior parte lo fa per allergia alle regole: nei centri devi presentart­i entro una certa ora, di solito le 22.30, e devi uscire entro una certa ora del mattino. E c’è l’alcol — prosegue —, nelle strutture non puoi bere e ubriacarti fino a stroncarti. Per strada ti aiuta a resistere e a dormire, ma quando sei a stretto contatto con tanta gente può succedere di tutto e magari sono proprio i responsabi­li del centro ad allontanar­ti. Poi devi anche fare i conti con quello che russa, con quello che prega all’alba... Insomma, alcuni si sentono più liberi fuori: si riempiono di coperte e tirano mattina».

Anche se molti tendono a ritornare nello stesso posto, le notti dei senzatetto sono animate da piccole transumanz­e: «Per esempio tutti sanno che alle 21 in piazza San Carlo arrivano quelli di Sant’Egidio e i volontari di San Simplician­o. Mezz’ora prima, dietro il Duomo, c’è l’unità di strada della Croce Rossa con un medico. E allora si va tutti lì. E c’è un calendario settimanal­e di interventi delle associazio­ni». Le giornate, invece, sono scandite da ritmi inventati dalla necessità e da un’attenta esplorazio­ne degli spazi che la città offre gratuitame­nte: «Di giorno, per esempio, le bibliotech­e sono preziose — sottolinea Aldo —: sei al caldo, ci sono i bagni, c’è il wifi, c’è da leggere, puoi dormire appoggiato al tavolo. L’importante è non puzzare». Una volta scollinata la stagione fredda la comunità dei senza dimora si disperde nei parchi o lontano da Milano. «Ma salvarsi dal freddo non è tutto. Per avere una possibilit­à di riemergere serve un punto d’appoggio — tiene a dire Aldo —: io l’ho trovato nella Piazzetta della Caritas e nell’attività con i “Gatti”. Mi ha aiutato a ritrovare anche un ruolo al mondo».

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