L’ex profugo Sidney, il tifoso della Cremonese venuto dal passato
In fuga dai nazisti, dopo la guerra trovò rifugio in Italia La passione per i grigiorossi e ieri il ritorno allo Zini
Sulla rampa di scale che conduce al primo piano ci sono ancora le scarpe degli sfollati. Intorno macerie ed erba incolta. È ciò che resta del «Dp Camp 82» (Displaced
persons) di Cremona, il campo profughi che alla fine della Seconda guerra mondiale ha raccolto sino a 1.127 ebrei, in gran parte provenienti dall’Europa dell’Est. «Mi viene la pelle d’oca perché io sono uno di loro», dice Sidney Zoltak, 86 anni, davanti a quel luogo. La stessa emozione che ha provato a rivedere 70 anni dopo allo stadio Zini una partita della Cremonese: «Era ed è la mia squadra».
Arrivato da Montreal, dove risiede, il rifugiato è tornato di nuovo in Italia. Prima tappa Milano per una preghiera sulla tomba del padre, che riposa al cimitero Maggiore. Poi ieri mattina, in treno, ha raggiunto Cremona, dove l’amico Angelo Garioni, l’architetto che sta riscrivendo la storia poco nota di quel periodo, lo aspettava per accompagnarlo nel viaggio dei ricordi. Zoltak è nato in Polonia, a Siemiatycze, una cittadina all’epoca sotto il controllo sovietico ma, dopo il patto Molotov-Ribbentrop, occupata dai tedeschi che deportarono a Treblinka oltre 7.500 ebrei. «Io e i miei genitori, con la nonna e uno zio, fummo tra i pochi che, di notte, riuscimmo a fuggire», racconta Sidney. Prima nella foresta, quindi da una famiglia di poveri contadini polacchi, che li nascose in un fienile e poi in una buca scavata nel terreno. Nel marzo 1945 gli Zoltak lasciarono la loro patria sperando di raggiungere la Palestina ma si fermarono in Italia. Dopo le soste a Bologna, Modena, Padova e un periodo a Selvino (Bergamo), all’improvvisa morte del padre nel dicembre ‘45, Sidney si trasferì nel centro sfollati di Cremona, ricongiungendosi con la madre. «Avevo 14 anni, ci rimasi per quasi tre». Il luogo si trovava nell’area oggi conosciuta come Parco dei monasteri, un ampio isolato formato dai conventi, oggi abbandonati, di San Benedetto, del Corpus Domini e di Santa Chiara. Una suggestiva città nella città che l’associazione culturale «Cremona progetto rinascimento» ha deciso di salvare. Il rifugiato polacco conserva un bel ricordo di quel pur difficile periodo: «Danzavamo, facevamo teatro, cantavamo. È lì che ho conosciuto Joseph e Rea Kushner, nonni di Jared Kushner, genero di Donald Trump. Per me Cremona significa gentilezza».
Ma c’è un altro profondo legame con la città: «La passione per la Cremonese. Chiedevo a mia madre, che lavorava in una cucina del campo, i soldi per andare al cinema ma, in realtà, li spendevo per recarmi durante la libera uscita allo stadio con i miei amici. E lì che per la prima volta ho visto fare una rovesciata. Una domenica abbiamo persino noleggiato un pullman per una trasferta a Prato».
Il profugo, che ha fatto della memoria dell’Olocausto una missione, ha continuato a seguire attraverso i giornali sportivi la Cremonese anche da quando, nel 1948, è emigrato in Canada. «Posso citare a memoria i giocatori della formazione di quel tempo. Eravamo in Serie B, proprio come ora». In serata Sidney è tornato allo Zini per assistere alla sfida con il Frosinone e ricevere dalle mani del presidente del club, Paolo Rossi, un regalo a sorpresa: la maglia grigiorossa con stampato il nome di quel tifoso venuto da lontano. «Grazie. È una grande felicità, un’emozione unica essere qui dopo tanto tempo per una partita della mia squadra del cuore». Poi i suoi occhi si sono inumiditi, come tra le rovine del «Dp Camp 82».
Il calcio
Me ne innamorai appena arrivato qui. Posso recitare tutte le formazioni dal ‘45 a oggi