Il laboratorio di Arturo Martini
In mostra a Villa Necchi Campiglio modelli e bozzetti della «Giustizia corporativa»
Suggestioni arcaiche, classiche e rinascimentali rivisitate in chiave moderna. Plasticità salda ed essenziale, che supera il naturalismo di matrice ottocentesca nel solco di un solenne «ritorno all’ordine». Anche lo scultore Arturo Martini (1889-1947), come molti altri artisti attivi negli anni Venti e Trenta, ha subito una damnatio memoriae che lungamente ha pesato sulla valutazione critica dela sua opera. Merito della gallerista milanese Claudia Gian Ferrari, pioniera estimatrice dell’arte di quell’epoca, avergli restituito con i suoi studi il ruolo che merita. Proprio in memoria di Claudia, mancata nel 2010, si inaugura oggi alle ore 18 a Villa Necchi Campiglio la rassegna «Arturo Martini e il monumento per il Palazzo di Giustizia a Milano», mostra a cura di Paolo Baldacci, Amedeo Porro e Nico Stringa (vernice ad inviti).
Nulla accade a caso: proprio a Villa Necchi, capolavoro di architettura e arredi Déco, la collezionista ha donato nel 2006 45 preziosi pezzi della sua raccolta d’arte tra cui 4 sculture del maestro trevigiano, in primis l’incantata «Amante morta» esposta nella hall. La nuova mostra prende invece in analisi un’unica, specifica opera dell’artista: il monumentale altorilievo della «Giustizia corporativa», ancor oggi nell’atrio al primo piano del nostro Palazzo di Giustizia, anno 1937. In esposizione, riuniti per la prima volta, alcuni bozzetti originali in gesso dei diversi gruppi che compongono la grande scultura, più un modello in bronzo dell’intera composizione e una serie di fotografie del lavoro scattate all’epoca, sotto la direzione dello stesso Martini, per un libro con prefazione di Riccardo Bacchelli. Nel 2016 poi Grazia e Paola Gian Ferrari hanno donato al Fai anche l’«Archivio Martini» della stessa Claudia: tutta la documentazione relativa alle ricerche compiute sull’autore dalla studiosa, che ne ha smascherato numerosi falsi e ne ha riscoperto, in una casa montana alle pendici del Monte Amiata, un corpus di gessi ritenuti perduti. Quello tra Claudia e Arturo era proprio un grande amore.