Fortino di abusivi, liberate 100 case
Nella traversa di via Padova un’«enclave» che resiste dagli anni 90. Rimpatriati 27 clandestini Blitz in via Cavezzali, in settecento per il maxi-sgombero. Il questore: «Degrado pazzesco»
Imponente operazione della Questura all’alba. Un blitz legittimato dai risultati. Settecento uomini sono entrati nel «fortino» di via Cavezzali. Liberati cento alloggi occupati. Recuperate auto rubate. Discariche abusive e rischio di crolli. Accompagnati 65 stranieri.
Passaporti, permessi di soggiorno scaduti, copie di atti giudiziari (soprattutto condanne per spaccio, furto e rapina), certificati che elencano decine di precedenti penali, nulla osta dei consolati. Quando già è calata la notte, alla fine di una giornata iniziata all’alba col più imponente sgombero della storia recente di Milano, sulle scrivanie dell’Ufficio immigrazione della Questura sono accatastati quaranta faldoni. Raccontano le storie di 27 uomini che vivevano da abusivi nel palazzo di via Cavezzali 11, e da clandestini e pregiudicati in Italia: 27 fascicoli che definiscono «profili di pericolosità sociale». Per lo più cittadini nordafricani, che saranno rimpatriati entro oggi o nei prossimi giorni. Altri 13 sono stati denunciati, primo passaggio per una futura espulsione. Il bilancio finale racconta anche di 98 appartamenti occupati: recuperati, chiusi e restituiti ai curatori fallimentari incaricati dal Tribunale. Tredici auto portate via. Un paio di appartamenti sigillati con sequestri preventivi perché affittati in nero a stranieri non in regola. Quarantatré persone denunciate. Hanno faticato per un intero giorno 700 uomini, soprattutto poliziotti e carabinieri, con finanzieri e agenti della polizia locale. In serata, il questore Marcello Cardona riflette e dice: «Lavoriamo con serietà, attenzione, scrupolo, e sempre con umanità, perché non si poteva più tollerare che famiglie fragili venissero sfruttate con richieste di centinaia di euro di affitti in nero per abitare in condizioni di igiene e sicurezza inaccettabili».
Fallimenti, affitti, covi La storia del palazzo di via Cavezzali 11 inizia nel 1961, quando viene costruito questo residence di otto piani e quasi 200 piccoli appartamenti a pochi metri da via Padova, poco oltre il ponte della ferrovia. All’inizio degli anni 2000 lo stabile è di proprietà dell’Inpdai, l’ex cassa pensionistica dei dirigenti industriali. L’ente in quel momento ha però accumulato debiti enormi e viene assorbito dall’Inps: tra 2002 e 2003 si fanno avanti
tre immobiliari (AR Srl, Ifim Srl e Interhouse Srl) che aprono imponenti mutui con le banche e acquistano circa metà del palazzo (altri appartamenti finiscono a piccoli proprietari e privati). La solidità di quelle società è molto dubbia e nel giro di pochi anni i conti saltano: bollette non pagate per centinaia di migliaia di euro, mutui non onorati. E così in una decina d’anni, mentre le tre immobiliari si avviano al fallimento, alcuni amministratori iniziano ad affittare in nero, cresce la fama del palazzo come ritrovo di prostitute e piccoli criminali, punto d’approdo di immigrati clandestini, fino a che quasi 100 appartamenti vengono «consegnati» ai curatori fallimentari che di fatto non potranno mai prenderne possesso: gli alloggi sono tutti occupati abusivamente. Il valore dell’immobile crolla (un intero piano con 20 mini appartamenti, ad esempio, l’anno scorso è stato venduto per un totale di 180 mila euro), mentre il palazzo diventa una sorta di enclave senza legge e senza regole. La più emblematica storia di degrado urbano a Milano in una deriva durata quindici anni. Un’infinità.
Otto squadre in campo
E dunque in via Cavezzali non si poteva più entrare con semplici interventi, ma soltanto con un lavoro come quello di ieri, un lavoro che è stato insieme sgombero e operazione di polizia giudiziaria, con 68 appartamenti perquisiti e oltre 200 persone controllate. Lo ha sottolineato il prefetto Luciana Lamorgese: «Un intervento partito da lontano, dal 17 marzo 2017, quando abbiamo sottoposto la criticità di via Cavezzali al Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Abbiamo agito adesso perché adesso era il momento giusto, dopo approfondimenti e verifiche. La- voriamo con i fatti, senza clamore».
Troppi appartamenti da perquisire e recuperare, troppe persone da controllare, diffuso profilo criminale degli abitanti, tutto concentrato in un’unico stabile in condizioni disastrose: abusiva la gran parte degli allacci dell’elettricità, ascensori fuori uso da anni, un’unica scala buia per l’accesso, bombole del gas negli alloggi, scale e uscite di sicurezza inagibili, cataste di immondizia in alcuni corridoi. Ecco perché la Questura ha elaborato un’organizzazione inedita che ha mescolato pianificazione e tecnologia. I poliziotti sono entrati intorno alle 6, un corteo in strada che s’è assottigliato in una lunga fila all’interno. Otto squadre, una per piano, ognuna affidata a un funzionario che ha coordinato i singoli movimenti sua «sezione»: dalle porte sfondate con i vigili del fuoco, ai controlli in diretta dei precedenti penali delle persone. Come se fossero otto operazioni di polizia diverse ma tutte inserite in un’unica cornice, coordinata dal dirigente dell’Ufficio prevenzione generale Maria Josè Falcicchia (che ha guidato il meccanismo all’interno del palazzo, dopo aver svolto tutto il lavoro preparatorio e di intelligence) e all’esterno dal capo del commissariato Garibaldi-Venezia, Massimo Cataldi.
I controlli e l’aiuto
Dice l’assessore alla Sicurezza, Anna Scavuzzo: «Spesso in quel palazzo ci sono state violenze e soprusi ai danni di persone indifese, abitanti del quartiere e inquilini che hanno subito arroganza e spregio delle basilari regole di convivenza civile. Ora si è proceduto a un’azione congiunta, pianificata per considerare ogni dettaglio». Nel palazzo vivevano nove bambini, quattro dei quali sono stati ospitati con le loro famiglie nelle strutture del Comune (altre due famiglie sono rimaste nelle case che occupavano regolarmente e tre hanno deciso di allontanarsi senza accettare le offerte di assistenza).
Alcuni inquilini hanno mostrato pacchi di ricevute, rate d’affitto da 400 o 500 euro al mese pagate a quella rete di gestione torbida e parallela che fino a ieri ha avuto ancora legami con persone collegate alle società fallite. Tra questi il «custode» Paolo Favret, condannato nel 2017 per aggressioni a un’amministratrice che aveva cercato di risistemare lo stabile. Favret era in via Cavezzali e per tutto il giorno è rimasto in Questura («La sua posizione è da valutare»). Il capillare controllo del territorio «è la base della nostra strategia — conclude in serata il questore Cardona — e lo faremo con costanza». Via Cavezzali sarà segnato come «obiettivo sensibile» per i futuri controlli del commissariato e dei carabinieri di zona.