Politecnico: lo stop alle lingue lede il diritto al lavoro
L’appello dei 15 «saggi» dell’ateneo al vertice di grandi imprese: rischiamo di perdere talenti
«L’insegnamento in inglese al Politecnico di Milano non lede il diritto allo studio, ma favorisce il diritto al lavoro». A lanciare un nuovo appello a favore dell’inglese come lingua di insegnamento all’università sono architetti, ingegneri, designer, ex alunni riuniti nell’advisory board, organismo consultivo dell’università. Quindici firme, da Renzo Piano a Francesco Caio da Renato Mazzoncini a Patricia Urquiola a Giorgio Squinzi e Francesco Starace. Il messaggio è comparso su una pagina acquistata sul Corriere, a due mesi dalla sentenza del Consiglio di Stato che ha bocciato il Politecnico sull’inglese come lingua esclusiva nei corsi magistrali: «Non può sostituire l’italiano». E’ l’ultima stroncatura, su una battaglia avviata al Politecnico cinque anni fa quando l’ateneo vota a favore del passaggio all’inglese nei corsi magistrali e nei dottorati ma un centinaio di docenti presenta ricorso al Tar e vince. Il Ministero fa ricorso. Il Consiglio di Stato solleva dubbi di costituzionalità, la Corte Costituzionale dice sì ai corsi con riserva, va garantito il primato della lingua italiana. E a gennaio l’ultimo stop. Ma il dibattito resta aperto.
«La conoscenza della lingua inglese diventa esenziale per i giovani al momento della transizione tra università e lavoro. Per questo l’inglese al pari delle altre competenze garantisce il diritto al lavoro», scrivono gli alumni. «È una responsabilità a cui il Politecnico non può sottrarsi». E spiegano che questa prospettiva «deriva dall’esperienza di chi oggi è al vertice di grandi imprese e studi professionali italiani e multinazionali». Il rettore Ferruccio Resta ha commentato che «un messaggio così va anche alle istituzioni e stimola alla necessità di avere una formazione di qualità internazionale perché non possiamo permetterci di perdere talenti».