«Noi, ostaggi in casa»
Il caso dei singalesi vessati da una condomina Incendi, rom e zerbini contro le occupazioni
Oltre i rom, gli abusivi, gli spacciatori, gli incendi e il cancello rotto, nel cortile di via Abbiati 3 il problema più sentito è la «matta». Nessuno ce l’ha con lei per la sua malattia ma i suoi comportamenti esasperano i condomini.
Oltre i rom (che hanno occupato un’intera scala) e gli abusivi («alcuni si comportano anche bene»), al di là dell’appartamento in cui spacciano (sera e notte, dalle finestre) e del cancello rotto (tenuto su da un filo elettrico annodato tra le sbarre), negli ultimi tempi, nel cortile di via Abbiati 3, il problema più sentito è la «matta». La conoscono tutti, in quel caseggiato Aler di 8 scale, 15 appartamenti per scala, dove gli inquilini regolari, in gran parte anziani, comunque legati con orgoglio al loro quartiere, reagiscono alla deriva anche attraverso
La donna e la malattia Nessuno ce l’ha con lei per la sua condizione ma rende la vita difficile a tutti gli altri residenti
l’autogestione in accordo con l’azienda dell’edilizia pubblica. La storia della «matta» però, senza che nessuno ce l’abbia con lei, e pur comprendendo e giustificando che si tratta di malattia e non di malavita, racconta come l’esistenza quotidiana nei palazzi di periferia possa trascinarsi oltre il limite di sopportazione e d’esasperazione. Lo testimonia ad esempio una famiglia di singalesi, madre, padre e bambini, contro cui l’instabilità psichica della signora s’è indirizzata con derive razziste. Un giorno, con pennarello indelebile, sulla porta del loro alloggio è comparsa la scritta: «Negro di m ..... ». Ogni tanto, sullo zerbino, hanno raccolto resti di carne di maiale. Fino a che, una sera di luglio dell’anno passato, nell’atrio è divampato un incendio. Scale piene di fumo. Fiamme. Paura. Intervento dei pompieri. Qualcuno aveva incendiato il passeggino dei due bambini. Le pareti, ancor oggi, sono coperte di nero e di sporco. Gli altri abitanti, dopo quel giorno, vivono con una certa tensione. Anche perché ogni tanto si ritrovano un uovo schiacciato contro la porta; altri giorni, imbrattamenti con la salsa di pomodoro; a volte, bottiglie e barattoli di vetro scagliati dalle scale, a dimostrazione di un sostanziale fallimento delle reti di gestione sociale.
E dire che il condominio con gli incendi aveva già avuto un bel problema: in casa di un’altra ragazza dalla vita complicata, residente all’ultimo piano, «appassionata» di candele, qualche tempo prima s’erano alzate grosse fiamme. Lei s’è salvata. Il suo gatto è morto. L’appartamento, quasi un anno dopo, è ancora aperto e disastrato come lo lasciarono i pompieri quella notte. Rispetto ad altri caseggiati di San Siro, in via Abbiati 3 la ristrutturazione esterna è stata fatta. «Il problema è il resto — dicono gli inquilini — che è tutto abbandonato».
Contro le occupazioni hanno elaborato qualche semplice strategia d’inganno. Davanti alle porte delle case disabitate, gli abitanti hanno cura di sistemare sempre uno zerbino, per dissimulare il fatto che l’appartamento sia vuoto e dunque obiettivo di nuovi abusivi. In una scala, invece, hanno rinunciato: un paio di alloggi vuoti, un paio di abitanti regolari, il resto tutti occupati da famiglie rom. Ci sono bambini piccoli, che «fanno tenerezza». Le signore più anziane ricordano: «Vent’anni fa vivere qui era bellissimo, i cortili erano pieni di fiori».