Fracassi dà lustro alla lingua testoriana
Nella lettura registica di Renzo Martinelli di «Erodiàs» di Giovanni Testori, secondo dei «Tre lai», lamenti funebri di donne sul corpo dell’amato, l’assassina e l’assassinato, la regina innamorata, «infoiata», e Giovanni Battista che l’ha «refiutata» sono tutt’uno. Erodiàs e Jokanaan, «Giuan» nella materica lingua testoriana più che mai estrema, nata da lingue vive e morte, da dialetti, da varianti fonetiche, ardua, impervia, oscura ma paradossalmente «naturale» e «chiara» nell’evocare la violenza delle passioni, il travaglio dello spirito e del corpo (al Teatro i, fino all’11 giugno). Compenetrazione visualizzata nella fulminante immagine iniziale, un manichino di donna senza testa e un costume dal cui ventre spunta la testa barbuta dell’attrice. Il costume vola via e siamo in un sexy shop dove storia e mito irrompono nel contemporaneo sanguinoso della carne e dei sentimenti, esplodono nella sfida a Dio, si impeciano in tormenti di anima e cupidigie della carne. Bravissima Federica Fracassi si immerge nella partitura di sentimenti e emozioni di Erodiàs, prigioniera del ricordo, dei rimorsi e dei dubbi, riuscendo sul finale, libera da artifici spettacolari, barba, falli, microfoni, a fare della parola carne e sangue, seppur un eccesso di rumori, suoni, musiche e di segni, spezzi, limiti, gravi sul fluire del testo.