Presi i rapinatori «frontalieri»
Italiani residenti nel Varesotto assaltavano i benzinai del Canton Ticino. Cinque colpi in sei mesi
Sgominata la banda dei rapinatori «frontalieri» di benzinai. Colpivano in Svizzera e si rifugiavano in Italia. La squadra mobile di Varese ha chiuso il cerchio e arrestato sei persone.
Rapine a mano armata secondo il più tradizionale dei cliché: casco, taglierino e poi via di corsa con migliaia di franchi o euro in tasca. Ma tra il bottino e l’impunità c’era di mezzo un confine di Stato, tra Svizzera e Italia, e proprio nel Belpaese trovavano rifugio i quelli che tutti chiamano da queste parti i «rapinatori dei benzinai». Un fenomeno di forte allarme sociale in Canton Ticino e che nei giorni scorsi ha visto la squadra mobile di Varese chiudere il cerchio attorno al gruppo composto da una «testa» di tre persone e altrettanti esecutori materiali di cinque rapine nell’arco di sei mesi.
Siamo nell’ultimo lembo di Italia tra Clivio, in provincia di Varese, e Ligornetto, in Canton Ticino, paesi divisi da piccole dogane poco presidiate. I colpi venivano organizzati da un trio composto da L.F, 56 anni e L.N.F., 29 anni, padre e figlio entrambi calabresi e da un terzo elemento L.G., 48 anni, campano; la manovalanza era cercata tra sbandati, tossici e balordi, esecutori materiali delle rapine: in un caso, a Ligornetto, il distributore Eni venne colpito tre volte a mesi alterni, tra marzo e luglio.
In pieno giorno, da solo o accompagnato, l’uomo col casco entrava nel distributore, estraeva la lama e poi saliva in scooter coi soldi per cercare riparo in Italia: in un caso la moto non ripartì e il rapinatore riuscì a passare a piedi la frontiera distante solo 400 metri.
La svolta nelle indagini arrivò il 9 maggio dello scorso anno quando venne presa a noleggio una Fiat 500: una macchina «pulita» che aveva il compito di precedere i mezzi quasi sempre rubati con a bordo i rapinatori, ma la targa venne ripresa da un sistema di video sorveglianza e la polizia riuscì a risalire alla filiera criminale dando un nome e un cognome a tutti i componenti della banda a cui ora viene contestata la rapina aggravata, il porto abusivo d’armi e la ricettazione per via dei mezzi rubati e impiegati nei colpi.
La posizione di una settima persona, una donna, è al vaglio degli investigatori poiché avrebbe prestato la propria auto per pianificare le sortite.
Per arrivare agli arresti è stato decisivo l’apporto del Centro di Cooperazione di Polizia doganale di Chiasso che ha permesso un veloce scambio di informazioni con la polizia Cantonale, oltre che il lavoro del servizio associato di polizia locale del Monte Orsa.
Due degli arrestati sono detenuti in Svizzera, gli altri quattro al carcere dei Miogni, a Varese e lunedì prossimo è attesa un’udienza alla Corte d’Appello di Milano per decidere sull’estradizione richiesta dal ministero pubblico di Lugano per padre e figlio.
La questione dei valichi minori fra Italia e Svizzera è argomento sentito nelle zone di confine, soprattutto da parte della Confederazione elevetica dove la Lega dei Ticinesi chiede maggiori controlli e per sei mesi, nel 2017, venne adottata in via sperimentale la chiusura di alcune piccole dogane durante l’orario notturno, dalle 23 alle 5, con rafforzamento a capo della banda che assaltava i benzinai svizzeri. Si tratta di padre e figlio di 56 e 29 anni, più un terzo complice di 48. Il terzetto assoldava sbandati e tossici come complici diurno dei controlli di polizia.
Nelle zone di frontiera erano attive due distinte batterie dedite alle rapine ai distributori. Una, composta da due persone venne sgominata l’anno scorso, e l’altra fermata con gli ultimi arresti. Per agire erano fondamentali i sopralluoghi con l’auto «staffetta» che consentiva di verificare la presenza di posti di controllo ai valichi che di tanto in tanto la polizia svizzera predisponeva: finito il periodo di presidio, ripartivano le rapine.