La stanza del tempo
Sull’Arco della Galleria rinasce con la ex centrale degli orologi la terrazza che domina Milano
Dicono che il sindaco sia salito senza sapere bene cosa lo aspettava. E che una volta lassù, a tu per tu con il Duomo, inchiodato davanti alla Madonnina — te la trovi improvvisamente davanti agli occhi, così vicina come non immagineresti mai di poterla vedere —, sia rimasto senza parole. Incalzato dagli architetti su una possibile destinazione per la terrazza, senza dubbio la più bella della città, pare che Beppe Sala abbia risposto: «Ce la teniamo» (invece di darla in affitto).
La terrazza è in cima all’Arco della Galleria Vittorio Emanuele II. In pratica, alla stessa altezza delle guglie. Da lì si vede tutta Milano: la Cattedrale è di fronte, sotto piazza del Duomo e via Torino (che dall’alto sembra una cartolina dell’Ottocento), in seconda fila la torre Velasca e il Castello, e poi chiese, palazzi, City Life, lo stadio. Lo spettacolo raddoppia nelle giornate terse, quando appaiono il profilo di Bergamo e gli Appennini.
Dell’esistenza della terrazza, voluta così in alto da Giuseppe Mengoni, il progettista della Galleria, sapevano in pochi. Inagibile, difficile da raggiungere, è rimasta come nascosta. Non è, fra l’altro, l’unica sorpresa dell’Arco. Durante la ristrutturazione della Galleria, nel 2014, è rispuntata anche l’enorme sala all’ultimo piano (duecento metri quadri, proprio sotto la terrazza), lasciata libera dopo essere stata affittata per anni. «Quando siamo entrati era difficile intuirne il valore: il pavimento era coperto da tre strati di moquette e un controsoffitto mascherava le volte», racconta Angelo Manenti, l’architetto comunale che ha seguito i lavori. Riportando a nudo la struttura, è saltata fuori una grande crepa longitudinale. Così sono saliti sulla terrazza, che allora si attraversava a fatica per i cavi tirati da una parte all’altra. Fra mille difficoltà logistiche, è stato aperto un cantiere. La sala, che negli anni Trenta era la centrale operativa da cui partiva l’impulso per i duecento orologi cittadini, è così tornata alla forma originale (come il macchinario che regolava il tempo di Milano, al centro della stanza), e la terrazza è diventata praticabile.
E si arriva all’agosto scorso, con il sindaco in alto davanti al Duomo che afferma che gli spazi, interno ed esterno, devono restare pubblici. Alfredo Spaggiari, direttore dell’Urban Center, che promuove lunedì 25 un incontro aperto sulla Galleria con gli assessori Filippo Del Corno (Cultura) e Gabriele Rabaiotti (Lavori Pubblici), Ornella Selvafolta, docente di Storia dell’Archi- tettura e il presidente dell’Ordine degli Architetti di Milano Paolo Mazzoleni, è un fan di sala e terrazza. «Potrebbero diventare un magnifico museo o una sala culturale o una sala concerti: l’acustica è spettacolare», dice. C’è un unico problema: l’accessibilità. Oggi si sale fino al tetto della Galleria in ascensore, lo stesso che serve il Ristorante Pavarotti. Poi per la sala e la terrazza c’è solo una scala di servizio. «Lo spazio per un altro ascensore ci sarebbe», fa sapere Spaggairi, «e con una scala interna, in fondo alla sala dove c’è il lucernario, si arriverebbe all’aperto. Il valore di questi luoghi è inestimabile, ma vanno resi accessibili».
Costi? Non eccessivi. «Si potrebbe lanciare una sottoscrizione», dice Andrea Jarach di Milano Loves You. «Per comprare la Galleria, in mano a una società inglese, venne fatta una lotteria, non sarebbe quindi la prima volta».
Progetti La stanza sottostante con i soffitti a volta potrebbe diventare una sala da concerto