«Corsa alle cure nel polo medico modello Usa»
Niguarda, al Trauma center due pazienti al giorno e morti in calo
Tutto sta nella capacità di sfruttare la «golden hour». L’ora d’oro che permette al trauma team di salvare vite umane. «Esperienza, protocolli condivisi e lavoro all’unisono» sono i tre cardini del metodo americano importato in Italia da Osvaldo Chiara, direttore del centro del Niguarda dedicato alle emergenze-urgenze. Così è stato curato Niccolò Bettarini.
Il modello è targato Usa, ma la declinazione milanese non ha nulla da invidiare agli americani. Il trauma team del Niguarda si sta occupando di Niccolò Bettarini dopo l’aggressione che ha subito nella notte tra sabato e domenica. A supervisionare il tutto Osvaldo Chiara, direttore e fondatore del centro dedicato alle emergenze.
Professore, come sta Niccolò?
«È ricoverato con ferite al tronco, all’addome e a un braccio. Non è in pericolo di vita e probabilmente sarà operato oggi all’avambraccio. Stimiamo una prognosi di 30 giorni per il recupero totale».
Perché si è scelto di portarlo al Niguarda?
«Qui ha sede il trauma center, un modello di assistenza integrata tra territorio e ospedale per le vittime di “traumi maggiori”. Una struttura istituita negli Stati Uniti negli anni ‘80-’90 e che ho studiato da vicino. Nel 2002 l’allora direttore sanitario del Niguarda, Alberto Zoli, mi ha chiamato per importare il modello a Milano».
Come funziona?
«Al vertice del Siat (sistema integrato assistenza trauma) c’è il Niguarda, che ricopre il ruolo di cts (centro trauma ad elevata specializzazione). Gli altri ospedali, in base alle risorse disponibili, sono classificati in categorie diverse. A seconda del caso il paziente viene assegnato a una struttura o a un’altra».
Un esempio pratico, sabato sera. Come si è messo in moto il meccanismo?
«Il 118 ha ricevuto la chiamata e inviato un mezzo sul luogo dell’aggressione per rendersi conto della situazione. A quel punto il paziente è stato assegnato al Niguarda con codice rosso, il più grave. In ospedale è stato preso in carico dal trauma team».
Chi ne fa parte?
«Medici, infermieri e tecnici che in pochi minuti si predispongono ad accogliere il paziente in una sala d’emergenza dedicata. Nel tempo più rapido possibile completano la diagnostica e intervengono per stabilizzare la vittima del trauma».
Quali sono i vantaggi di una simile organizzazione?
«Il valore aggiunto è la squadra addestrata a gestire le emergenze. Le capacità aumentano con il crescere dell’esperienza. Un altro vantaggio è il sistema integrato con protocolli continui. La cura inizia sulla scena e prosegue con i medesimi principi in ospedale. All’interno del trauma center gli specialisti lavorano all’unisono. Il paziente è davvero al centro e viene seguito dalla stessa squadra dall’inizio fino al suo ritorno a casa».
E i risultati?
«A Milano e nell’hinterland per i traumi maggiori la mortalità è scesa all’8/10 per cento. Dove non è presente questo protocollo, si aggira attorno al 25 per cento».
Sul sito del Niguarda si dice che il trauma team è dedicato a «salvare le vittime del sabato sera».
«Ci occupiamo di circa due pazienti al giorno, 700 all’anno. Nel 95 per cento dei casi si parla di traumi chiusi: incidenti stradali, infortuni sul lavoro. Solo il 5 per cento è dato da persone ferite da arma bianca o da fuoco. I momenti caldi? Le notti di giovedì e sabato, oltre ai giorni feriali negli orari di maggior traffico e quindi incidenti. Il nostro bacino d’utenza conta 4 milioni di abitanti».
I pazienti in cura da voi saranno fortemente sotto choc.
«Per loro e per i parenti è stato organizzato un servizio di assistenza psicologica».
E chi lavora nel centro? Come vive l’emergenza quotidiana?
«Personalmente mi ritengo fortunato perché faccio quello che mi piace e vedo crescere il sistema. È impegnativo, ma la passione mi fa sentire meno la fatica e sono contento dei risultati. Ora stiamo lavorando per affinare il modello, abbiamo organizzato una rete del trauma metropolitana per confrontarci con le altre realtà e verificare cosa si può migliorare».
La procedura La cura inizia sulla scena, continua in ospedale e il team segue il paziente fino alle dimissioni