I pasdaran del «no» sfidano i sognatori Il Naviglio ritrovato spacca il centro città
L’idea affascina. I nodi? Cantieri e ambulanze
«Sono qui per questa frode del Naviglio. Il costo è enorme come i problemi di viabilità che creerà. È chiaro che dietro ci sono interessi di tutt’altra natura». Ottavio, 83 anni, arriva battagliero, fra i primi a prendere posto nell’aula 211 dell’Università Statale, in via Festa del Perdono, dove ieri si è tenuto il terzo incontro pubblico organizzato dal Comune per coinvolgere la cittadinanza sul progetto di riapertura dei Navigli. Dopo il tratto di via Melchiorre Gioia (su cui martedì 19 giugno hanno discusso quasi
500 persone), è stata la volta di Conca dell’Incoronata (oltre cento). Ieri per esprimersi sul tratto da via Laghetto a corso di Porta Romana, si sono presentati in 250 circa. La maggior parte già nettamente schierati. Come i quattro uomini di mezza età seduti nello stesso banco occupato in mezzo alla maggioranza di pensionati. Si sono liberati dagli impegni lavorativi per manifestare tutta la loro opposizione a un progetto «Che per carità ha la buona intenzione di diminuire il traffico, ma non si può fare in questo modo drastico!».
«Alla città servono piuttosto i soldi per le periferie. In zona Rubattino stanno costruendo molte case ma non ci sono né scuole né ambulatori», fà loro eco Vincenzo Robustelli, ingegnere in pensione, arrivato dalla zona 3.
Annamaria Gatti, al contrario, è favorevole: abitava in zona da bambina, ora anche lei vive a Lambrate. Seduta davanti, la signora Rossana Braga, residente in via Laghetto, la sente e si gira interpellandola: «Mi spieghi che vantaggi ci saranno: già i lavori della metro ci stanno rendendo la vita impossibile. Poi avremo anche l’umidità e le zanzare».
Alle 18 l’assessore alla partecipazione Lorenzo Lipparini, il coordinatore del dibattito Andrea Pillon e i progettisti dell’opera attaccano a esporre i vantaggi di questa grande opera che costerà in totale 150 milioni di euro per 7,7 chilometri, dalla Martesana alla Darsena. Gli obiettivi, spiegano, sono esaltare i valori storici della città; il paesaggio urbano; incentivare il traffico sostenibile; diminuire le emissioni del riscaldamento attraverso lo sfruttamento energetica delle acque di falda. L’esposizione del progetto generale passa via liscia, ma quando l’ingegner Costa passa alle slide che illustrano il tratto di via Sforza, la platea si agita finché qualcuno grida «E la 94?». È la miccia che accende gli altri fuochi sopiti: «E le ambulanze? E gli accessi carrai alle proprietà?». Il relatore chiede gentilmente di poter terminare, ma alla fine gli applausi sono timidi. I timori riguardano il traffico, la durata del cantiere, i ponti di attraversamento. Eppure non mancano i favorevoli come Decio Spinelli, 80 anni, coordinatore del distretto Lion di Milano e provincia, o come Enrico Banfi, ex direttore del Museo di storia naturale che vede nella riapertura anche un vantaggio per la biodiversità. In minoranza sono invece coloro che non hanno pregiudizi, arrivati per ascoltare, come Camilla Gandini, 23 anni, che abita in via Francesco Sforza, tendenzialmente favorevole perché ama le città con l’acqua; oppure Maja Zoric, che ha preso un treno da Venezia dove, allo Iuav, sta studiando il progetto.
Alla fine tutti vengono convogliati nel chiostro davanti all’aula magna per esprimere le proprie opinioni divisi in gruppi di 13, intorno a tavoli coordinati ciascuno da un mediatore che ha il compito di far parlare tutti, raccogliere i dubbi e redigere un report finale per l’amministrazione. Fra di loro, tutti giovani, c’è Michele Bergonzi, che allo Iulm si occupa di comunicazione pubblica. «In generale alla gente la visione del progetto piace, ma poi è sempre un po’ difficile accettare i cambiamenti sotto la propria casa», spiega. E ci aggiunge una riflessione politica: «Qualunque sia la posizione, parlare fa bene alla comunità. È un antidoto contro il populismo in cui si delega una sola persona a decidere per tutti».