Insulti, bombe carta e un’auto bruciata La «guerra sporca» ai poliziotti onesti
I silenzi dei colleghi collusi e la sfida dei clan
Ciak, la prima è andata buca; ciak, la seconda è da rifare; ciak, la terza pure: buona solo ora la quarta. Inchiesta, non scena di un film. Anche se non è priva di aspetti romanzeschi la coabitazione forzata tra poliziotti «buoni» e poliziotti «cattivi» portata alla luce dalle pm Giovanna Cavalleri e Cecilia Vassena, riuscite a rimettere insieme i cocci di tre passati tentativi di indagine. Tre tentativi che, pur macinando tanti elementi di sospetto — prima a Milano con un pm allora nel pool pubblica amministrazione, poi con uno che stava nell’antimafia, e in mezzo con un fascicolo di Como — sino a ieri non erano stati in grado di mettere a fuoco non solo il narcotraffico in Comasina, ma anche le relazioni con il commissariato.
Qui già dal marzo 2015 almeno tre agenti avevano formalmente segnalato possibili comportamenti di alcuni loro colleghi, commettendo solo l’errore — nel periodo in cui cercavano di orientarsi nel ginepraio d’ufficio — di confidare sospetti proprio a uno dei poliziotti «sbagliati». Cosa che — scrive ora la gip Anna Calabi — «aveva avuto conseguenze negative sulle indagini», perché da quel momento «le intercettazioni non avevano portato ad alcun esito».
Non solo: i magistrati inquirenti rimarcano come i tre agenti onesti abbiano «poi pagato con un contributo altissimo l’avere operato secondo le regole, l’avere segnalato laddove vedevano un’eccessiva commistione tra forze dell’ordine e criminali, e soprattutto l’essersi esposti davanti ai colleghi denunciando ciò cui quotidianamente assistevano». Hanno infatti subìto «atteggiamenti ostruzionistici tenuti da parte degli “anziani” dell’ufficio nei loro confronti, volti ad escluderli dalle attività istituzionali». Sono stati «convocati» da un poliziotto colluso in un ristorante malfamato e qui invitati da un delinquente a essere meno solerti. Hanno visto campeggiare sui muri del quartiere il proprio nome con scritte offensive e minacciose. Una bomba carta è stata lanciata contro il commissariato. A uno dei poliziotti onesti è stata addirittura bruciata l’auto. E un altro è stato aggredito da facinorosi durante l’esecuzione di un arresto, al grido di «questo è il nostro quartiere, te la faccio pagare, da oggi sei sulla mia lista nera».
Ieri, con l’arresto di 23 persone (tra cui il sovrintendente Roberto D’Agnano), e la perquisizione di tre agenti per l’ipotesi di associazione a delinquere, si comprende il paziente e complicato puzzle ricostruito dalle due pm della Direzione distrettuale antimafia a cavallo della staffetta tra il procuratore aggiunto Ilda Boccassini e la subentrata Alessandra Dolci, rimettendo assieme le tessere del lavoro della Squadra Mobile (e dell’aliquota GdF della sezione di pg per le ricerche patrimoniali su due imprenditori arrestati per fittizia intestazione di immobili di un trafficante). Puzzle che ha ricomposto — grazie anche alle rivelazioni di un trafficante arrestato nel 2017, il collaboratore di giustizia Laurence Rossi — gli indizi delle condotte per le quali il poliziotto è ora accusato di aver «garantito interventi e informazioni riservate o omissioni che nel complesso hanno avuto l’effetto di tenere il gruppo al riparo da “problemi”». Più, in alcuni casi, «concreti contributi» come l’accompagnamento a una spedizione punitiva, il favore di intercettazioni abusive sulla compagna di un malavitoso geloso, l’aiuto per un passaporto che non era rilasciabile.