Un cuore nuovo e poi il decesso Il pm: si archivi
San Raffaele
Il pm Francesco De Tommasi ha chiesto di archiviare l’indagine a carico di cinque medici, due del San Raffaele di Milano e tre del San Camillo di Roma, accusati di omicidio colposo per la morte di un 61enne romano nel settembre 2016 dopo che era stato sottoposto al trapianto di un cuore prelevato nell’ospedale fondato da Don Verzé ad un 48enne milanese. Decisiva la consulenza tecnica d’ufficio che ha attestato come «il matching donatore-ricevente fosse rispettato per compatibilità antropometrica ed immunologica». La consulenza che ha anche stabilito, «in un’ottica ex ante, che il donatore dell’organo cuore non presentava caratteristiche che controindicassero il prelievo», che l’organo donato «risultava idoneo al trapianto», e che qualsiasi presunta anomalia non era rilevabile né strumentalmente né clinicamente. La morte del ricevente sarebbe dovuta a una «insufficienza d’organo primaria (...) tutt’altro che infrequente dopo un trapianto cardiaco», a cui si aggiungono altre concause, tra cui la sua età, il fatto che soffrisse da 30 anni di una forma di cardiopatia grave, e il fatto che non sono emersi elementi che potessero far evitare la morte qualora il tempo di ischemia del cuore prelevato (l’arco di tempo in cui l’organo rimane isolato dall’apparato circolatorio) fosse stato inferiore alle 5 ore e 11 minuti rilevati (secondo la letteratura scientifica non bisogna superare le 4 ore). Per l’inchiesta, insomma, il «rischio di esito sfavorevole dell’intervento» era da considerarsi «standard, e le anomalie riscontrate potevano al più allertare gli operatori per un monitoraggio stretto posttrapianto, ma niente avrebbero potuto fare».