ANTIMAFIA NON SERVE ESSERE EROI
L’unico che ha collaborato con gli investigatori è un cinese. Nessun altro, a Novate, ha fornito elementi utili alle indagini sulla grande centrale di smistamento della droga ospitata in una carrozzeria. Eppure i traffici gestiti in quella carrozzeria erano enormi e — se non altro in occasione dei raid punitivi — di movimenti «strani» ce ne sono stati parecchi. Ma niente, nemmeno le vittime hanno parlato. Gli inquirenti hanno voluto sottolinearlo, ma non è la prima volta. Anzi. Sono anni che l’allarme viene rilanciato. Soltanto l’altro ieri è toccato al prefetto di Milano, Luciana Lamorgese, segnalare che «in Lombardia negli ultimi anni ci sono state meno denunce» da parte degli stessi imprenditori che si sono consegnati ai clan mafiosi. Il meccanismo è collaudato: l’approccio è un’offerta di credito (a usura), ma l’obiettivo (e spesso anche il risultato) è strappare un’altra azienda dal circuito legale per farne un’ulteriore testa di ponte per riciclaggio e nuovi business criminali. Tutto finanziato dal grande bancomat della droga. Ma non dobbiamo smettere di ripeterci che si tratta di un modus operandi che si regge proprio sulla collaborazione di imprenditori, professionisti o cittadini che per paura o convenienza decidono di turarsi il naso, illudendosi di poter gestire gli ingombranti «amici» e di liberarsene al momento opportuno. È un gioco che non funziona mai. I pochi che hanno scelto di denunciare, invece, se la sono cavata senza danni. E non è stato necessario trasformarsi in eroi.