Fellini in 35 millimetri Omaggio al regista
Rassegna Da oggi all’Oberdan i film in 35 millimetri del regista riminese
Federico Fellini, a un quarto di secolo dalla scomparsa (il 31 ottobre 1993) viene omaggiato in pellicola. Si contano sulle dita di una mano le sale lombarde che possono proiettare film in 35 millimetri: una di queste è lo Spazio Oberdan, dove (da oggi al 23 settembre) la Cineteca italiana propone tredici lungometraggi e due episodi del maestro riminese. Nell’era del digitale, che cosa cambia vedere un film in pellicola? Per i puristi è un’altra esperienza, mentre i pragmatici magari si lamentano delle rigature sui fotogrammi. Per certi aspetti è la stessa querelle che contrappone i fan del vinile a quelli che ascoltano la musica in CD o in MP3. Ma nel caso del cinema c’è un altro aspetto da considerare: la vecchia pellicola, paradossalmente, offre più garanzie di durare nel tempo rispetto ai supporti digitali. E quindi Fellini in pellicola è anche un modo per prolungare la memoria del suo cinema.
Film come «La dolce vita» (che si vedrà il 1° settembre) e «8 ½» (il 7 settembre) un tempo facevano parte del bagaglio dello spettatore medio. I giovani probabilmente ignorano l’impatto che questi e altri titoli ebbero non solo sulla settima arte, ma sul costume e sulla società. E la grandezza del cinema di Fellini sta nell’avere alternato film dal respiro collettivo, come «I vitelloni» (il 30 agosto), ad altri che inseguono ossessioni private, come il «Casanova» (il 28 agosto). Nel caso degli autobiografici «Amarcord» (che apre la rassegna oggi alle 19) e «Roma» (il 22 agosto), le due dimensioni coincidono.
Vedere o rivedere oggi questi film, poi, dimostra la loro tenuta e la loro attualità. È significativo che Fellini esordisce parlando di avanspettacolo («Luci del varietà», il 26 agosto) e di fotoromanzi («Lo sceicco bianco», il 3 settembre), e chiude la sua carriera trattando di televisione («Ginger e Fred», purtroppo assente dalla rassegna) e di un’Italia già berlusconizzata («La voce della luna», il 24 agosto). La sua attenzione sui mass media e sulle forme di spettacolo popolare è stata fonte sia di poesia sia di critica corrosiva. Ed è sorprendente quanto «La voce della lu- na», sottovalutato nel 1990, sia in anticipo sui tempi nel dipingere lo sgomento di due «matti» (Roberto Benigni e Paolo Villaggio) in un mondo in cui non si riconoscono.
L’ultima prova, se necessario, del genio di Fellini è la diversità abissale che c’è tra i suoi film. «La strada» (domani) — non a caso citato anche da papa Francesco — e «Le notti di Cabiria» (il 23 agosto) sono riflessioni profondamente cattoliche sulla Grazia — e a una lettura del genere si presta anche «La dolce vita», come scrisse Pasolini. Ma «Fellini-Satyricon» (il 25 agosto) è l’immersione in un mondo pagano decadente e irrazionale. E i 37 minuti di «Toby Dammit» (il 27 agosto) sono un horror visionario e già postmoderno. L’opera di Fellini è anche la coincidenza degli opposti: e per un regista che amava Carl Gustav Jung non era certo un caso.