I tuffi proibiti all’Adda beach
La sfida al divieto di tuffarsi nel fiume: «Le ordinanze non bastano più»
È la battaglia di «Adda beach» quella che ogni estate si scatena tra bagnanti e sindaci del Lodigiano. Nel fiume è vietato tuffarsi, ma le ordinanze vengono ignorate nonostante controlli e multe.
LODI Ogni anno i sindaci rinnovano il divieto di balneazione, e ogni anno puntualmente i bagnanti fanno sparire i cartelli per potersi poi tuffare in tutta tranquillità nell’Adda come se fossero in piscina. E in alcuni casi a morire. È un braccio di ferro che dura da anni, quello fra i sindaci di Comazzo e Merlino (Lodi) e il popolo di «Adda beach», come viene chiamato il suggestivo tratto di fiume a valle delle cascate Bocchi. Centinaia di persone che nelle domeniche estive invadono l’Adda e le sue spiagge con sdraio, ombrelloni, lettini e attrezzature per le grigliate. Un popolo colorato — per la maggior parte stranieri da Milano e hinterland — e rumoroso che dopo la tintarella non intende rinunciare al bagno. Che nell’Adda è severamente proibito per motivi di sicurezza e punito con multe fino a 500 euro. A valle delle cascate la corrente è forte, il livello del fiume può salire in ogni momento quando nei bacini a nord ne viene aumentata la portata in uscita e lo stesso alveo in località Bocchi è ricco di punti insidiosi con mulinelli che possono diventare trappole mortali anche per un nuotatore esperto. «Ordinanze e controlli sembrano non bastare più — avverte il sindaco di Merlino, Emanuele Fazzi —, non ci resta che appellarsi al buonsenso delle persone. Fare il bagno nell’Adda può essere letale». «I cartelli di divieto di balneazione — rivela il sindaco di Comazzo, Italo Vicardi — durano una settimana. Poi sono gli stessi bagnanti a strapparli via». «Senza contare — aggiungono i due sindaci — lo stato in cui vengono lasciate le rive del fiume: rifiuti, bottiglie rotte, tracce di barbecue. Ogni lunedì i nostri addetti sono costretti a portar via montagne di immondizia».
Una sfida, quella del popolo di «Adda Beach», che spesso è finita in tragedia. Dal 2010 a oggi il fiume ha fatto otto le vittime, alla media di un annegato all’anno. Il «triangolo delle Bermuda» lodigiano risiede fra i Bocchi di Comazzo e il ponte della tangenziale di Lodi, due punti che solo l’anno scorso sono costati la vita a un rifugiato nigeriano e a un adolescente marocchino , entrambi inghiottiti dalla corrente.
L’estate 2018 è stata finora più fortunata, ma i vigili del fuoco di Lodi hanno comunque dovuto effettuare due salvataggi complicati: il primo, a luglio, con ottanta persone bloccate su un isolotto e riportate a riva a forza su gommoni
da rafting, il secondo a Ferragosto per salvare due taiwanesi sopraffatti da un mulinello. «Non c’è modo di convincerli — afferma il comandante dei vigili del fuoco, Massimo Stucchi —. Continuano a fare il bagno nonostante il pericolo». L’ultima moda lanciata dai giovanissimi in cerca di adrenalina è tuffarsi nell’Adda dal ponte di Bisnate (Zelo) sulla Paullese usato come trampolino. Ora il fiume è asciutto e i temerari sono temporaneamente spariti, ma a luglio era pratica comune. Inoltre, da Merlino a Lodi tutti e venti i chilometri di Adda sono coperti da ordinanze di divieto. Dopo l’ultimo salvataggio di Ferragosto anche il sindaco di Lodi Sara Casanova ha alzato la voce: «Le prescrizioni — avverte — non sono limitative della libertà ma al contrario vogliono tutelare la salute delle persone». Nella zona del ponte sulla tangenziale, rifugiati e richiedendo asilo fanno quotidianamente il bagno, nonostante l’ordinanza di divieto sia in vigore dal 13 giugno del 2014. Eppure da allora i morti sono già stati due.