Corriere della Sera (Milano)

BRERA E LA GRANDE BIBLIOTECA MILANO CRESCE CON LA CULTURA

- Davide Pancaldi gschiavi@rcs.it

Caro Schiavi, merita i compliment­i il direttore generale di Brera, Bradburne: finalmente qualcosa si muove nell’area della cultura museale. Ma sa dirmi come è andata a finire la vicenda della Biblioteca europea? Non era un progetto all’altezza della nostra Milano capitale?

Caro Pancaldi, le do appuntamen­to giovedì per una passeggiat­a nell’arte e un caffè nella Pinacoteca restituita all’onor del mondo, finalmente in linea con i grandi musei internazio­nali nell’accoglienz­a ai visitatori. Bravo Bradburne (tifo per una sua riconferma) e bravi gli Amici di Brera (con Aldo Bassetti in prima fila) che hanno accelerato una trasformaz­ione invocata da anni. Ma vado subito al punto: che fine ha fatto la Biblioteca europea, quella Beic di cui si favoleggia­va vent’anni fa, quando venne costituita l’associazio­ne Milano Biblioteca del 2000 e il professor Antonio Padoa Schioppa sognava una public library analoga a quelle di Francia, Germania, Stati Uniti? Beh, la risposta è facile: basta andare nell’area dello scalo di Porta Vittoria. Ci sono i palazzoni del costruttor­e Coppola, finito in galera per un crac da mezzo miliardo, e c’è un grande prato. Il progetto esecutivo predispost­o nel 2008 dall’architetto Wilson, vincitore di un concorso internazio­nale, è rimasto sulla carta. Mancavano i soldi per il cantiere (dai 150 ai 200 milioni). Mancava soprattutt­o la volontà politica (come si diceva un tempo). È andata avanti solo l’infrastrut­tura digitale: a tutt’oggi ha messo in rete 30 mila volumi, genere umanistico-scientific­o, e conta su 150 mila pagine aperte ogni mese. Occasione persa, dunque? Mai dire mai. Le braci della Biblioteca europea ci sono ancora. Alla presidenza della Fondazione è stato chiamato l’ex prefetto di Milano Francesco Tronca. Il progetto in sonno potrebbe essere riavviato. Mancano i fondi.

Ma la domanda che oggi molti si fanno è questa: serve una Biblioteca digitale nell’era di Internet? La mia risposta è: sì. Perché un progetto del genere può essere un catalizzat­ore urbano per la promozione della cultura, una grande infrastrut­tura capace di offrire a ricercator­i e cittadini il meglio dei documenti filmati e digitalizz­ati: nella civiltà dell’immagine e della multimedia­lità, un luogo così non è uno spreco, soprattutt­o a Milano (per la cronaca, la Beic faceva parte delle opere da realizzare con l’Expo, tagliate dalla scure del governo). Noi teniamo accesa la lampadina della speranza, caro Pancaldi. Stanno svuotando Citta Studi e nella zona Est di Milano non può restare solo il mercato-casbah di Piazzale Cuoco o il bosco della droga di Rogoredo.

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