Con «Enduring Freedom» all’Elfo il secondo capitolo dell’affresco sull’Afghanistan
Da stasera all’Elfo «Enduring Freedom»
Enduring Freedom era il nome in codice dell’operazione lanciata dal governo degli Stati Uniti contro i Talebani in Afghanstan all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001. È anche il titolo del secondo capitolo che va a completare, dopo «Il grande gioco», quel grande affresco sulla storia dell’Afghanistan, dal 1842 ai giorni nostri, prodotto dal Teatro dell’Elfo e da Emilia Romagna Teatro Fondazione per la regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, in scena da questa sera, nella sua completezza, al Teatro Elfo Puccini e visibile in due serate separate o in maratone domenicali. Commissionato a tredici autori angloamericani dal Tricycle Theatre di Londra, è stato fatto proprio dagli «Elfi», che hanno selezionato dieci testi, cinque per la prima parte, realizzata un paio d’anni fa, e altrettanti per la seconda, scritti da Lee Blessing, David Greig, Ron Hutchinson, Stephen Jeffreys, Wilkinson, Richard Bean, Ben Ockrent, Simon Stephens, Colin Teevan e Naomi Wallace.
Una drammaturgia a più voci che mescola epica, geopolitica e storie private per raccontare la storia di un Paese, così vicino, così lontano, suo malgrado al centro dello scacchiere internazionale. Una storia importante, quanto poco conosciuta, anche per capire le dinamiche di potere in Occidente. «È un esempio di quel teatro anglofono che ci piace e ci somiglia — dicono Bruni e De Capitani—. Un teatro che parla di civiltà continuando a essere vivo, che difende la sua ostinata capacità di coinvolgere emotivamente e persino ludicamente lo spettatore, senza perdere nulla in fatto di qualità della scrittura. Gli autori ci restituiscono il risultato di una ricerca storica spesso accuratissima, ma la trasformano in materia coinvolgente, toccante e a volte poetica». La prima set- timana è tutta dedicata alla seconda (e nuova) parte, «Enduring Freedom», dall’arrivo dei Talebani nel 1996 a oggi. Intrecciando diversi generi — storico, documentaristico, lirico, realistico, melodrammatico, noir — si affacciano alla ribalta coriacei mullah, esponenti dell’Onu, diplomatici senza scrupoli russi e americani, il comandante Massud e i mujahidin, le contraddizioni delle missioni umanitarie, la guerra, con i reduci occidentali che devono fare i conti con i traumi post-bellici, e i profughi, costretti a lasciare un paese ormai devastato da quella «libertà duratura», che di duraturo ha solo l’assenza di un futuro. Nelle settimane successive la seconda parte si alternerà con la prima, «Il grande gioco», che riguarda il periodo 1842-1996, partendo dalla ritirata inglese del 1842 e arrivando all’Afghanistan paracomunista a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, cultuJoy ralmente vivace, libero e cosmopolita. Su una scena spoglia, che prende vita grazie alle proiezioni video di Francesco Frongia, sono protagonisti, impegnati in più ruoli: Claudia Coli, Michele Costabile, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Fabrizio Matteini, Michele Radice, Emilia Scarpati Fanetti, Massimo Somaglino, Hossein Taheri e Giulia Viana.