Cinese sfregiata per punizione
Lesioni gravi, estorsione e sfruttamento. Ancora libero il mercenario assoldato per punire la prostituta
Lesioni gravissime, estorsione e sfruttamento. Tre arresti nell’ambito del caso della prostituta cinese sfregiata un anno fa. Si cerca ancora un quarto uomo, l’incaricato della «punizione».
La richiesta era perentoria: «O mi paghi, o ti lascio un segno che ricorderai per tutta la vita». Purtroppo non erano minacce al vento. E per la ragazza, una prostituta 26enne cinese, il ricordo di quelle parole resterà impresso per tutta la vita sul suo volto, attraversato dalla fronte fino a sotto lo zigomo da un orrendo sfregio causato da un coccio di bottiglia in una stanza appartata di un bar di via Ludovico di Breme, vicino a piazzale Accursio, tra viale Espinasse e via Gallarate.
Una vicenda per la quale — a un anno di distanza dai fatti — gli agenti della seconda sezione della Squadra Mobile, diretti da Vittorio La Torre, hanno eseguito tre ordinanze di custodia disposte dal gip Giovanna Campanile nei confronti di altrettanti connazionali della vittima: due uomini di 35 e 27 anni, condotti in carcere, e una donna di 40 raggiunta dalla misura dell’obbligo di dimora. Lesioni gravissime, estorsione e sfruttamento della prostituzione, sono le accuse ipotizzate a vario titolo in un’inchiesta, quella coordinata dal pm Luigi Luzi, dove all’appello manca ancora colui che ha materialmente deturpato la faccia della donna. Un uomo che, secondo gli inquirenti, era stato assoldato apposta per infliggere la «punizione». Risale alla fine di novembre scorso la denuncia della donna, dal cui racconto i poliziotti della Mobile, specializzati in reati di criminalità straniera, hanno sviluppato un’indagine che ha svelato anche un business legato alla prostituzione orientale gestita tramite «Wechat», vale a dire il sistema di messaggistica istantanea dallo smartphone, l’equivalente cinese di Whatsapp.
Alla base dell’aggressione ci sarebbe il precedente rapporto tra la vittima e il 35enne, che la sfruttava quando la coppia viveva in Austria. La donna si è poi trasferita senza di lui a Milano, dove continuava a prostituirsi, ma il suo ex non aveva intenzione di lasciarla in pace, rivendicando un credito di 40mila euro (per presunti ricavi non versati), di cui pretendeva il pagamento. Talmente deciso da tenderle una trappola al bar per fargliela pagare.
Secondo le accuse, lui e il complice più giovane l’hanno tenuta ferma. Il terzo uomo, a quel punto, l’avrebbe prima stordita colpendola alla testa con una bottiglia che poi ha svuotato e rotto, ricavando un coccio affilato. Poi le ha procurato il taglio in faccia, che ha richiesto almeno venti punti di sutura, e che per poco non le faceva perdere anche un occhio. In questi mesi, tramite intercettazioni e sistemi di indagine «classici», gli investigatori hanno scoperto una rete di prostituzione (con la donna quarantenne che faceva da maitresse) dove il contatto tra cliente e «protettore» per definire luogo e pagamento della prestazione avveniva attraverso la chat «cinese». La donna tratteneva per sé una percentuale tra il 30 e il 40 per cento sui ricavi. Vale a dire un quota decisamente più alta — come confermano dalla Questura — rispetto a quanto avviene, per esempio, nel racket gestito dai nigeriani o dalle bande dell’Est europeo. Quello che non cambia, tra le diverse comunità criminali e quartieri, semmai, è la ferocia contro le donne che «osano» sgarrare.