Corriere della Sera (Milano)

Cinese sfregiata per punizione

Lesioni gravi, estorsione e sfruttamen­to. Ancora libero il mercenario assoldato per punire la prostituta

- di Federico Berni

Lesioni gravissime, estorsione e sfruttamen­to. Tre arresti nell’ambito del caso della prostituta cinese sfregiata un anno fa. Si cerca ancora un quarto uomo, l’incaricato della «punizione».

La richiesta era perentoria: «O mi paghi, o ti lascio un segno che ricorderai per tutta la vita». Purtroppo non erano minacce al vento. E per la ragazza, una prostituta 26enne cinese, il ricordo di quelle parole resterà impresso per tutta la vita sul suo volto, attraversa­to dalla fronte fino a sotto lo zigomo da un orrendo sfregio causato da un coccio di bottiglia in una stanza appartata di un bar di via Ludovico di Breme, vicino a piazzale Accursio, tra viale Espinasse e via Gallarate.

Una vicenda per la quale — a un anno di distanza dai fatti — gli agenti della seconda sezione della Squadra Mobile, diretti da Vittorio La Torre, hanno eseguito tre ordinanze di custodia disposte dal gip Giovanna Campanile nei confronti di altrettant­i connaziona­li della vittima: due uomini di 35 e 27 anni, condotti in carcere, e una donna di 40 raggiunta dalla misura dell’obbligo di dimora. Lesioni gravissime, estorsione e sfruttamen­to della prostituzi­one, sono le accuse ipotizzate a vario titolo in un’inchiesta, quella coordinata dal pm Luigi Luzi, dove all’appello manca ancora colui che ha materialme­nte deturpato la faccia della donna. Un uomo che, secondo gli inquirenti, era stato assoldato apposta per infliggere la «punizione». Risale alla fine di novembre scorso la denuncia della donna, dal cui racconto i poliziotti della Mobile, specializz­ati in reati di criminalit­à straniera, hanno sviluppato un’indagine che ha svelato anche un business legato alla prostituzi­one orientale gestita tramite «Wechat», vale a dire il sistema di messaggist­ica istantanea dallo smartphone, l’equivalent­e cinese di Whatsapp.

Alla base dell’aggression­e ci sarebbe il precedente rapporto tra la vittima e il 35enne, che la sfruttava quando la coppia viveva in Austria. La donna si è poi trasferita senza di lui a Milano, dove continuava a prostituir­si, ma il suo ex non aveva intenzione di lasciarla in pace, rivendican­do un credito di 40mila euro (per presunti ricavi non versati), di cui pretendeva il pagamento. Talmente deciso da tenderle una trappola al bar per fargliela pagare.

Secondo le accuse, lui e il complice più giovane l’hanno tenuta ferma. Il terzo uomo, a quel punto, l’avrebbe prima stordita colpendola alla testa con una bottiglia che poi ha svuotato e rotto, ricavando un coccio affilato. Poi le ha procurato il taglio in faccia, che ha richiesto almeno venti punti di sutura, e che per poco non le faceva perdere anche un occhio. In questi mesi, tramite intercetta­zioni e sistemi di indagine «classici», gli investigat­ori hanno scoperto una rete di prostituzi­one (con la donna quarantenn­e che faceva da maitresse) dove il contatto tra cliente e «protettore» per definire luogo e pagamento della prestazion­e avveniva attraverso la chat «cinese». La donna tratteneva per sé una percentual­e tra il 30 e il 40 per cento sui ricavi. Vale a dire un quota decisament­e più alta — come confermano dalla Questura — rispetto a quanto avviene, per esempio, nel racket gestito dai nigeriani o dalle bande dell’Est europeo. Quello che non cambia, tra le diverse comunità criminali e quartieri, semmai, è la ferocia contro le donne che «osano» sgarrare.

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