Così attraverso 132 titoli è nata e rinata a Milano l’industria del cinema
Il rapporto unico della città con il cinema e l’industria in una mostra storica a Palazzo Morando
Da «Miracolo a Milano» a «Rocco e i suoi fratelli» a «Totò, Peppino e la malafemmina». Si apre a Palazzo Morando la mostra «Milano e il cinema» che attraverso foto, poster e memorabilia, indaga il rapporto tra la città e l’industria cinematografica.
Si apre oggi a Palazzo Morando una mostra a 360 gradi su Milano e il cinema, tema che racchiude moda e costume, business e ingegno, allarmi sociali e ciao, bella gioia. Si diceva: il film è un’arte ma il cinema è un’industria. Troneggiano all’ingresso Totò e Peppino che vestiti della festa parlano col vigile in Piazza Duomo («Totò, Peppino e la malafemmina»), ma nelle stanze trovate di tutto, dai maestri De Sica («Miracolo a Milano»), Visconti («Rocco e i suoi fratelli») e Antonioni («Cronaca di un amore»), ai poliziotteschi seriali con mitra in primo piano.
Curata da Stefano Galli la mostra annovera 132 titoli milanesi (dal 1895 «Finto storpio del castello» a «L’assoluto presente» 2017), 155 foto, 30 poster, memorabilia vari e 10 video tra cui «Stramilano» del Luce, 1929, dove già l’identikit è fatto di sfilate, danze, night cheek to cheek. Presentata dal soprintendente Claudio Salsi e dall’assessore Filippo Del CorEriprando no che ha visto il cinema come fonte immaginifica, l’esposizione aiuta a capire la relazione non facile tra la città e un’industria che tra i suoi produttori annoverava milanesi illustri come Angelo Rizzoli. «La cosa che abbiamo scoperto in un anno di lavoro — dice Galli — è che a Milano il cinema è esploso e fallito più volte, trovando poi nella Roma fascista l’ideale sfogo di Cinecittà, ma la nostra città è stata l’unica che ha espresso davvero la modernità e osservato il rapporto coi soldi. A Milano ha prosperato il cinema indu- striale, Olmi in Edisonvolta, quello pubblicitario dei Caroselli di Pagot e Bozzetto, fino a Mediaset che ha preso il posto degli studi Gavioli». Città moderna perché con il cinema sperimenta profetiche tecniche miste (Nichetti prima di Roger Rabbit), inquadra le prime e ultime inquietudini esistenziali, da «La notte» a Giuseppe Bertolucci, Soldini, Spada e le pene d’amor perdute di Guadagnino. La city vanta una commedia alla milanese battezzata dal rivistaiolo cav. Tino Scotti «ghe pensi mi», prosperata poi al Derby e dintorni con Celentano, Pozzetto, Abatantuono, Aldo Giovanni e Giacomo, oltre a dive divine come la Valeri e la Melato, ma già negli anni 30 il giovane De Sica frequentava i Grandi Magazzini e la Fiera Campionaria, luoghi industriosi. Sono milanesi non solo i nobili Luchino ed Visconti ma anche Olmi («Il posto» mostra la città sventrata per la prima metrò), Lattuada, Ferreri, Risi («Il vedovo» con Sordi e Valeri in Torre Velasca, cult), Brusati e il lombardo Comencini, oltre a quelli d’adozione come i Vanzina, gli ospiti come la Cavani («I cannibali»), Monicelli («Romanzo popolare»), Lizzani («La vita agra»).
Il set a Milano è in aumento, assicura la Film Commission, anche con zampino orientale e tv, ma in compenso la città ha perso quasi tutte le monosale e il centro storico è un cimitero di memorie, altro che piccola Broadway: solo abbigliamento, del resto anche il Comune ha acquistato il guardaroba di Rosanna Schiaffino. Invece sono stati fantastici gli anni 60 nello scovare dentro le storie germi di passato e profezie di futuro: Rocco, con le guglie del Duomo e i prati del ponte della Ghisolfa è un capolavoro eterno.
Il curatore
Qui il cinema è esploso e fallito più volte e solo qui ha espresso la sua modernità