Frah Quintale all’Alcatraz Grafomane e romantico
«Non esiste solo lo stile gangsta. Mi interessa lasciare un segno, anche coi graffiti»
Ha scalato le classifiche con un crossover tra hip hop e canzoni d’amore orecchiabili. Frah Quintale — all’anagrafe Francesco Servidei —, bresciano classe 1989, il suo stile lo chiama «street pop». «L’ho definito così — spiega — scherzosamente, quando facevo rap in strada. Ho iniziato a 11 anni, a 14 anni a Piazza Vittoria a Brescia, mi univo a un gruppo di ragazzi che ballavano breakdance e noi rappavamo con gli altoparlanti sulle auto. Alle volte parto da una melodia, altre invece è freestyle totale». Frah, metà dei Fratelli Quintale, che da qualche tempo ha intrapreso la carriera solista, ha spopolato su Youtube con brani come «Cratere», «8 miliardi di persone», «Hai visto mai», finiti prima nel suo primo album «Regardez moi», e ora in un contenitore più ampio chiamato «Lungolinea», che presenterà dal vivo domani e martedì sera all’Alcatraz (via Valtellina 21, ore 21, sold out) in compagnia del suo produttore Ceri, al mixer.
«Lungolinea — dice — nasce da una playlist che prevede l’utilizzo creativo di Spotify. Ci sono 24 tracce che hanno segnato il mio percorso; un flusso di brani, provini, demo, parti strumentali, audio di WhatsApp, il tutto per tenere aggiornati i miei fan sulla mia evoluzione. Tutto è nato quando sono arrivato a Milano e da homeless della musica restavo a dormire nello studio della mia etichetta». Il nome della playlist è ispirato al muro che attraversa le stazioni, dove il rapper bresciano ha mosso i primi passi come writer, come ha raccontato in «I treni della notte»: «Sono una sorta di grafomane — afferma — e mi piace l’idea di lasciare una firma riconoscibile. Ho fatto anche lavori artistici urbani nei sottopassaggi degradati». Anche il protagonista dei suoi video arriva dal mondo dei graffiti. «È un ragazzo-pupazzo dalla testa gigante di cartapesta,la caricatura della mia faccia che mi piace trasformare in una cosa reale». I testi sono quasi sempre d’amore, non proprio il cliché del rapper. «Il rap non è solo gangsta, dove si parla di spaccio, omicidi e denaro. Mi piace essere puro, non voglio snaturare il mio stile, per scadere in soluzioni troppo commerciali».