LA RINASCITA DI PONTE LAMBRO UNA SFIDA DA RACCOGLIERE
Caro Schiavi, ho letto dei ritardi nella riqualificazione del quartiere Adriano e ho pensato che in periferia per ottenere qualcosa devono passare almeno vent’anni. Ci sono voluti più di vent’anni per abbattere l’albergo dei Mondiali, sulla tangenziale est e sono passati vent’anni dall’annuncio della riqualificazione di Ponte Lambro. Anche lei aveva detto che eravamo all’atto finale con il «rammendo» dell’architetto Piano, ma non mi sembra sia andata così.
Caro Redaelli, ho sbagliato le previsioni: pensavo che per Ponte Lambro ci fosse più interesse da parte degli operatori economici e che il rammendo di Renzo Piano potesse essere completato in un tempo più breve. Ma il bando per la concessione d’uso da parte del Comune, uscito in questi giorni, è un atto importante: offre uno spazio da destinare ad attività innovative come laboratori tecnologici, oppure centri per l’inserimento al lavoro, scuole di formazione, ospitalità per studenti universitari, servizi sportivi e sanitari. Questa localizzazione è una sfida, ha detto l’assessore alla Casa Gabriele Rabaiotti. Il Comune è parte attiva e offre per trent’anni ai potenziali gestori un’area di 4 mila metri quadrati: un modo per agevolare il rientro dall’investimento.
Ponte Lambro è una ferita aperta da vent’anni, da quando l’ex sindaco Albertini ne fece la bandiera di una rinascita per le periferie cercando di bonificare i casermoni Aler dal racket degli alloggi e dallo spaccio. Operazione scomoda avviata e interrotta, passata poi alle amministrazioni Moratti e Pisapia: nel 2011 cominciò la ristrutturazione delle due stecche di case popolari di via Ucelli di Nemi, sulle quali si doveva innestare la passerella di vetro progettata da Piano. Una soluzione originale per spezzare la monotonia delle ex case bianche e creare uno spazio da destinare a servizi, creando così un contesto nuovo per il quartiere. I lavori del contratto di quartiere si sono interrotti a metà nel 2015 con il fallimento della ditta appaltatrice e a questo punto le alternative non erano molte: o si abbandonava il campo, lasciando un’incompiuta destinata a diventare il simbolo di un fallimento oppure si cercava di costruire un’alleanza nuova, tra amministrazione e privati. La strada scelta è l’unica via d’uscita. Il bando è il penultimo passo per il completamento dell’opera e il suo valore simbolico: si possono fare cose belle anche fuori dal centro storico. Quanto alla regola dei vent’anni, beh, si potrebbe almeno dimezzare.