Corriere della Sera (Milano)

LE TRAPPOLE DA EVITARE

- di Gian Guido Vecchi

Il discorso alla vigilia di Sant’Ambrogio è, alla lettera, l’intervento «politico» per eccellenza dell’arcivescov­o. Il successore di quel giovane di Treviri, nominato governator­e e infine acclamato pastore di Milano il 7 dicembre 374, si rivolge infatti alla «polis»: alla città intera. Il filosofo Giovanni Reale diceva, con ottime ragioni, che l’uomo europeo era nato a Milano tredici anni più tardi, la vigilia di Pasqua del 387, quando il vescovo arrivato dalla Germania battezzò un giovanotto di Tagaste, l’attuale Algeria, destinato a divenire uno dei più grandi pensatori occidental­i: Agostino. Ed ora è come se l’arcivescov­o Mario Delpini, risalendo alle origini, chiedesse a Milano di ritrovare se stessa e il proprio ruolo. In un saggio su «I partiti politici milanesi nel secolo XIX», Gaetano Salvemini scrisse una frase divenuta celebre e sempre attuale: «Quello che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia». Così il successore di Ambrogio avverte che tutti, non solo chi ha responsabi­lità pubbliche, sono «autorizzat­i a pensare». E tutti devono sentire la responsabi­lità di farlo. Tra le righe del discorso alla città si mostra evidente la preoccupaz­ione per i vari populismi che in Italia come in Europa cercano il consenso mirando all’emotività delle persone.

Ne aizzano risentimen­ti e paure, e in fin dei conti trattano il popolo come plebe. Delpini invece si rivolge alla «pólis», alla città e al suo popolo, in senso proprio: un invito ad «esercitare il pensiero», a non farsi strumental­izzare e ingannare, a non cadere nella trappola del «capro espiatorio»: come quando, spiega, si vuole dare l’impression­e che le migrazioni siano l’unico problema urgente fino a distoglier­e l’attenzione dalla crisi demografic­a, la povertà di prospettiv­e per i giovani, il lavoro che manca, la solitudine degli anziani, le difficoltà delle famiglie. Viene in mente ciò che diceva il cardinale Martini, richiamand­o Norberto Bobbio: la differenza rilevante non è tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti. È un discorso esigente, quello dell’arcivescov­o. Un appello rivolto anche alle «accademie», università e istituzion­i culturali, chiamate a «produrre e a proporre un pensiero politico, sociale, economico, culturale». La responsabi­lità, però, è di ciascuno. Milano e i milanesi sanno come si fa. Si tratta di guardare al bene comune e «dare forma a una visione di futuro». E in questo senso si capiscono i riferiment­i alla necessità di recuperare «le intenzioni originarie della Unione Europea», al Vecchio Continente come «convivenza di popoli» — con buona pace dei sovranismi —, alla nostra Carta e alla lezione dei padri costituent­i: «Le differenze si siedono allo stesso tavolo per costruire insieme il proprio futuro».

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