«Da Delpini una scossa anche per i laici»
Un messaggio politico, una scossa, a metà strada tra l’appello e il richiamo. Il Discorso alla città dell’arcivescovo Mario Delpini non è passato come una liturgia annuale. Oltre al lungo applauso delle istituzioni riunite nella la basilica di Sant’Ambrogio, le parole del capo della chiesa ambrosiana («Siamo autorizzati a pensare») hanno chiamato in causa direttamente la classe dirigente milanese e lombarda. E mentre i consigli comunali si interrogano su come interpretare la proposta di rileggere la Costituzione italiana, le università decodificano l’invito a partecipare alla ricostruzione del pensiero innovativo che ha contrassegnato la storia di Milano. «Possiamo scomodare le accademie», ha chiesto infatti Delpini?
«In un tempo in cui sembra che il pensiero sia messo in disparte a beneficio delle reazioni immediate — è l’analisi del rettore dell’Università Cattolica, Franco Anelli — credo che l’arcivescovo abbia voluto porre a tutti l’esigenza di comporre posizioni mirate al bene Comune, un punto sul quale la chiesa insiste molto, lo sviluppo della persona e lo sviluppo collettivo nello stesso momento. In sostanza si tratta
Dall’ateneo Nell’era delle reazioni immediate, Delpini invita tutti a sviluppare il bene collettivo
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di un richiamo all’obbligo di pensare». Ma quella domanda sulla possibilità di «scomodare le accademie» non implica la richiesta di nuove iniziative da parte degli atenei milanesi? «L’università ha due compiti fondamentali — spiega Anelli — quello educativo-formativo e quello di studio e ricerca. E credo che l’arcivescovo ci abbia esortati a fare bene il nostro specifico lavoro. Cioè creare capitale umano consapevole dei valori storici e cogenti e costruire il progresso della conoscenza favorendo il confronto tra gli stessi specialisti delle diverse discipline, in un contesto in cui scienza e tecnologia hanno impatto diretto e immediato con i temi sociali. Insomma — conclude il rettore della Cattolica — non mi pare sia richiesta la creazione di un nuovo ambito di elaborazione centralizzata. Anzi è molto meglio che siano tante e differenti le occasioni per disseminare il pensiero e raggiungere più ambienti».
Anche dal versante laico del mondo accademico arrivano parole di apprezzamento per il discorso «politico» di Delpini. «Ha chiamato in causa tutta la città, cittadini e istituzioni — sottolinea Salvatore Veca, docente di Filosofia della politica a Pavia e da sempre uno degli intellettuali milanesi di riferimento — con una esortazione che mi ha colpito sin dal titolo: “Autorizzati a pensare”, può essere letto sia in chiave ironica sia come allarme: perché in gioco c’è la possibilità di avere uno spazio pubblico per un confronto che non sia limitato a politiche dal brevissimo respiro o dal bisogno di massimizzare qui e ora l’empatia con l’elettorato». Anche il richiamo alla rilettura della Costituzione, secondo il professor Veca, non è affatto banale: «È il riferimento a quel grappolo di valori che dovrebbero orientare tutti. E poiché in questo momento il dissenso colpisce anche quei principi fondanti, ecco che la Costituzione diventa un antidoto alla cattiva politica».
L’applauso, i commenti addirittura entusiastici dei politici: l’arcivescovo riesce davvero a parlare anche al mondo laico? «A Milano in tutti i momenti di vuoto di autorevolezza la chiesa è stata un punto di riferimento — osserva Salvatore Veca —. Anche il cardinale Martini parlò nel deserto della politica. E l’altra sera “don Mario” ha fatto un discorso che, da laico, sottoscrivo: sobrio, rispettoso ma di grande fermezza».