Il selfie degli studenti: entusiasmante, però i giovani sono pochi
Da liceali alla prima della Scala diciamo «bello» già alla fine del primo atto, per la musica, per gli interpreti, per la regia, per la cura di tutta la rappresentazione. E contemporaneamente consideriamo subito che ci sono pochi giovani, non soltanto qui, adesso, sono pochi nei teatri perché la cultura è spesso inaccessibile ed è un peccato perché noi, diciottenni, stasera ci stiamo divertendo (e ringraziamo scuola e teatro per l’invito). I nostri posti sono nel loggione, seconda galleria, e vogliamo dirlo proprio perché siamo alla Scala: sono molto scomodi, si vede male. Però da qui hai uno sguardo su tutto il teatro e sul pubblico e notiamo anche che appena c’è un cambio di scena in platea si accendono tantissimi telefonini, delusione. L’opera invece prende, coinvolge. Siamo arrivati preparati, i nostri licei, Agnesi e Virgilio, hanno organizzato incontri con storici e musicologi, alcune classi hanno tradotto dal tedesco l’opera di Zacharias Werner, altre hanno lavorato a una narrazione multimediale, e poi tutti e due eravamo già stati alla Scala diverse volte, eppure stasera sembra tutto diverso. L’importanza dell’evento si sente. Ci confrontiamo su scelte e soluzioni. L’idea del regista di detemporalizzare l’opera convince una ma non l’altro. I pannelli multimediali li troviamo di grande effetto. Il fuoco che cambia le immagini ci lascia perplessi perché può distrarre dal senso della scena e dalla musica. Commentiamo anche particolari che non riusciamo a capire, come le vesti rinascimentali di alcuni nel seguito all’ingresso del Papa o i costumi delle comparse al banchetto di Attila, nel secondo atto, troppo eccentrici per il periodo in cui il regista ha contestualizzato questo Attila. E siamo entusiasti del finale, la scelta del maestro Chailly di rallentarlo ed enfatizzarlo è perfetta.
Le pagelle
Due liceali nel loggione: posti scomodi, pannelli multimediali promossi, rimandati i costumi