Carcere di Opera L’orchestra suona musica in libertà
L’orchestra formata da detenuti e musicisti debutta a Opera con il concerto di Natale Tre anni di studio e di pratica per 15 carcerati di diverse etnie: «Andiamo oltre le sbarre»
Chi di voi sa suonare uno strumento? Domanda un po’ bizzarra se rivolta a una platea di detenuti. Per di più di lungo corso, visto che la Casa di Reclusione di Opera accoglie quelli che devono scontare pesanti condanne. Bisogna avere un certo coraggio per chiedere a chi ha ucciso, rubato, spacciato, se ha voglia di fare musica e ancor più di studiarla. Eppure, c’è chi ha alzato la mano. Non molti, una quindicina. Ma già abbastanza per far nascere «Orchestra in Opera», progetto di educazione alla musica d’insieme, promosso dall’Associazione Mito onlus con la appassionata complicità di due musicisti, la pianista Stefania Mormore e il clarinettista Alberto Serrapiglio, la prima docente di pianoforte, il secondo responsabile del laboratorio World Music del Conservatorio di Milano. E dopo quasi tre anni di studio, oggi alle 15 i musicisti di Opera e i loro maestri suoneranno insieme in un Concerto di Natale dentro l’auditorium del carcere, quattrocento posti riservati alle famiglie dei detenuti e ai dipendenti, più un centinaio di «esterni».
«In realtà dovevamo debuttare il 21 giugno, per la Festa della Musica, ma sono stati i nostri allievi di Opera a chiederci di anticipare i tempi — racconta Serrapiglio —. Dopo tre anni di pratica, con mille difficoltà e qualche defezione dovuta a trasferimenti, la nostra piccola ma validissima orchestra ha sentito l’esigenza di mettersi alla prova».
Uniti nella sfida un gruppo di reclusi provenienti da mondi lontani. «Italiani, africani, sudamericani — elenca Serrapiglio —. Dai 30 ai 60 anni, di ogni estrazione sociale. Persino un laureato in Economia, persino uno che aveva frequentato un corso di tromba al Conservatorio di Milano. E un giovane di colore che pur non leggendo la musica, si è messo a studiare la chitarra con tale dedizione da restar sorpreso lui per primo. «Mi piace proprio» ha confessato. Infine quelli usciti dal reparto d’isolamento, alle prese con gli accordi dopo mesi di silenzio forzato. Un microcosmo di umanità dolente ma non vinta. Capace di rialzare la testa e cimentarsi là dove mai avrebbe pensato. «Frequento il carcere da 20 anni e ho capito che il primo bisogno del recluso è recuperare dignità e identità — assicura Matilde Sansalone, avvocato penalista che ha sostenuto il progetto e curato i rapporti con il carcere —. La nostra Costituzione parla di rieducare, non di punire. È la linea del direttore Silvio Di Gregorio che ha subito creduto nell’iniziativa. Impegnarsi in un’attività come la musica vuol dire fare appello alla parte migliore di sé. “Sul palco siamo tutti musicisti” è la frase che ripetono, che li fa apparire a se stessi e agli altri in modo nuovo».
«Nelle carceri italiane ci sono tanti laboratori teatrali, pochissimi musicali — interviene Cristina Frosini, direttrice del Conservatorio —. Ma quel che conta non è tanto portare la musica nelle carceri ma farla fare dai detenuti stessi. Questo è un progetto pilota. Sabato a Opera ci sarò anch’io».
«Suonare insieme vuol dire imparare ad ascoltarsi — conclude Stefania Mormone —. Questa non è solo una sfida musicale ma di integrazione. Abbiamo lavorato sull’improvvisazione, sull’abbandonarsi al piacere dei suoni. La musica ha un potere pazzesco, emoziona, fa cadere le tensioni. Quando uno di loro mi ha detto “Questo è il modo più bello di evadere” ho capito che avevamo vinto la scommessa».
Sabato sul palco di Opera saliranno dei musicisti pronti a scatenarsi con tastiere, archi, ottoni nel jazz, nell’etnica, nel pop. E magari un pizzico di classica. Perché anche se non tutti sanno chi sia Brahms, le sue Danze ungheresi piacciono un sacco. Piccolo miracolo di Natale, la musica passa attraverso le sbarre.
Le voci
In cella ho capito che il primo bisogno dei reclusi è recuperare dignità e identità