Il Pac ospita la personale di Eva Marisaldi: 34 opere per riflettere sulla vita
Dopo le tonalità brune delle mostre «Brasile, il coltello nella carne» e «Ya basta hijos de puta» di Teresa Margolles, l’anno espositivo del Pac chiude ora con un tempo allegro scandito dalle opere poetiche e giocose di Eva Marisaldi (Bologna, classe 1966). Quanto il clima sia cambiato, si percepisce subito all’ingresso, dove il visitatore viene accolto da tre nastri blu da ginnastica ritmica che, azionati da bracci meccanici, ruotano in una danza di benvenuto. Fra i 34 video, installazioni, disegni, sculture, ci sono anche un teatrino dove due cucchiai sospesi su fili come marionette si sfidano a duello, e trottole realizzate con la polvere di ferro che si modificano di continuo grazie a un meccanismo nascosto. Insomma c’è da divertirsi e sorprendersi.
Ma non è tutto. Perché se seguirete il percorso attraverso il libretto-guida a disposizione del pubblico, e concepito come un’intervista fra l’artista e la critica Emanuela De Cecco, scoprirete che ogni gioco nasconde un’inquietudine, che l’apparenza inganna e che ogni proposta è un invito sussurrato alla riflessione. Per esempio, nell’installazione «3000 pagine» il sonoro che sembra un’onda del mare nasce in realtà dal rumore prodotto da tremila pagine girate simultaneamente, come avviene durante la sessione annuale del Parlamento cinese quando i tremila delegati seguono pagina dopo pagina, in religioso silenzio, il discorso del Presidente. Oppure il grande pannello «Omissioni», composto da centinaia di post-it di diverse tonalità di giallo alterate con matite colorate, ci fa pensare alle nostre intenzioni mancate. Un lavoro cui fanno da specchio, sparsi sul pavimento, i piccoli oggetti d’argento, mescolati ad altri solo placcati, che richiamano la poesia di Emily Dickinson dove si paragona un’aspettativa delusa all’errore di aver piazzato articoli placcati su scaffali d’argento. Insomma la Marisaldi riesce a tenere insieme grandi eventi storici con piccoli accadimenti quotidiani attraverso una narrazione sempre sul filo della leggerezza, della fantasia e dell’immaginazione.
«La mostra raccoglie opere dai primi anni 90 ad oggi e l’abbiamo intitolata “Trasporto eccezionale” perché è stata concepita come un unico viaggio dove ogni opera è una tappa», spiega la Marisaldi, invitata dal comitato scientifico del Pac dentro la cornice di un preciso progetto, come spiega il direttore Diego Sileo. «Ogni anno presentiamo un artista italiano della generazione nata negli anni Sessanta, quella che, nel decennio dei Novanta, ha cambiato il linguaggio artistico in Italia e a cui ancora guardano i giovani. Ai tempi del loro esordio hanno avuto visibilità in tutte le mostre importanti, ma poi sono stati abbandonati. Questo è un difetto tipico del nostro sistema che, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, non sostiene più gli artisti a metà carriera». È successo a suo tempo anche a coloro che oggi chiamiamo «i maestri», come Isgrò, Bonalumi, Cavaliere, e ai quali da tre anni Palazzo Reale ha deciso di dedicare le rassegne estive.
E i nuovi talenti? Dal prossimo anno il Pac avrà una «project room»: cento metri quadri (liberati dal vecchio bar) dedicati a piccole mostre delle nuove generazioni.
L’artista «La mostra si intitola Trasporto eccezionale: un viaggio in cui ogni opera è una tappa»