I termini desueti
LE PAROLE CHE FANNO CRESCERE
Si potrebbe definire un atto di resistenza civile l’iniziativa di Mariangela De Luca, l’insegnante ventinovenne di scuola media che, come raccontava ieri Rossella Burattino, ha deciso di dedicare gli ultimi cinque minuti delle sue lezioni alle parole desuete. In un tempo in cui il vocabolario viene sfregiato dalle volgarità e dalle sciatterie di politici cialtroni e volgari nonché dall’esibizionismo anglofilo, quello della prof. De Luca è un gesto quasi eroico. Proporre ai ragazzi di aggiungere al loro repertorio lessicale parole inconsuete e strane, significa opporsi a quella che Pasolini, sin dagli anni 70, intravedeva profeticamente come omologazione culturale da civiltà totalitaria. E non è facile, visto che spesso l’educazione «sentimentale» giovanile è improntata al turpiloquio finto trasgressivo e finto maledetto di tanto rap o trap commerciale. È interessante che le parole letterarie o arcaiche proposte (da «abbacinante» al dantesco «inleiarsi») vengano non solo incamerate nella memoria con il loro significato, ma riutilizzate magari in funzione ironica però sempre pertinente («Prof., abbassiamo le tapparelle, c’è un sole abbacinante…»). La lingua ha un’infinità di risorse: è un deposito di storie (le etimologie sono intrecci straordinari come i migliori romanzi), un patrimonio di potenzialità creative con cui si può anche giocare, ed è il più ricco arsenale di armi (non da fuoco!) con cui farsi valere. La Prof. De Luca ha capito, probabilmente, che con l’aria che tira la prima educazione civica è quella linguistica.