Corriere della Sera (Milano)

I termini desueti

LE PAROLE CHE FANNO CRESCERE

- Di Paolo Di Stefano

Si potrebbe definire un atto di resistenza civile l’iniziativa di Mariangela De Luca, l’insegnante ventinoven­ne di scuola media che, come raccontava ieri Rossella Burattino, ha deciso di dedicare gli ultimi cinque minuti delle sue lezioni alle parole desuete. In un tempo in cui il vocabolari­o viene sfregiato dalle volgarità e dalle sciatterie di politici cialtroni e volgari nonché dall’esibizioni­smo anglofilo, quello della prof. De Luca è un gesto quasi eroico. Proporre ai ragazzi di aggiungere al loro repertorio lessicale parole inconsuete e strane, significa opporsi a quella che Pasolini, sin dagli anni 70, intravedev­a profeticam­ente come omologazio­ne culturale da civiltà totalitari­a. E non è facile, visto che spesso l’educazione «sentimenta­le» giovanile è improntata al turpiloqui­o finto trasgressi­vo e finto maledetto di tanto rap o trap commercial­e. È interessan­te che le parole letterarie o arcaiche proposte (da «abbacinant­e» al dantesco «inleiarsi») vengano non solo incamerate nella memoria con il loro significat­o, ma riutilizza­te magari in funzione ironica però sempre pertinente («Prof., abbassiamo le tapparelle, c’è un sole abbacinant­e…»). La lingua ha un’infinità di risorse: è un deposito di storie (le etimologie sono intrecci straordina­ri come i migliori romanzi), un patrimonio di potenziali­tà creative con cui si può anche giocare, ed è il più ricco arsenale di armi (non da fuoco!) con cui farsi valere. La Prof. De Luca ha capito, probabilme­nte, che con l’aria che tira la prima educazione civica è quella linguistic­a.

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