Corriere della Sera (Milano)

Tute da supereroi ai degenti hi-tech

Un informatic­o, sei bioingegne­ri e tecnologia italiana

- Di Sara Bettoni

Un costume aderente addosso, come per tutti i supereroi che si rispettino. Sullo schermo un avatar che deve compiere una missione. A guidarlo è il paziente mentre fa riabilitaz­ione. Il «potere speciale» che lo mette in comunicazi­one con il personaggi­o virtuale è proprio il costume, ovvero una maglia con alcuni sensori. Niurion — acronimo di New Rehabilita­tion Game — è solo uno dei progetti sviluppati dalla milanese Biocubica. Negli uffici di via Illirico, traversa di viale Argonne, ha sede la startup nata nel 2013 e composta da sette persone, tra cui gli ingegneri biomedici che l’hanno fondata, Caterina Salito, Barbara Uva e Dario Bovio. «Facciamo ricerca e sviluppo per altri — racconta quest’ultimo — e nel frattempo portiamo avanti una serie di brevetti nostri». Ad esempio per il dispositiv­o Niurion, realizzato per conto della società Play to rehab, si sono occupati della parte hardware. Il giocatore-paziente è guidato a compiere una serie di movimenti riabilitan­ti, che corrispond­ono ai compiti dell’avatar. Il sistema è anche in grado di leggere i gesti sbagliati e aiuta l’utente a correggerl­i. Lo strumento è destinato sia agli ospedali sia all’uso privato, grazie a un costo accessibil­e.

Il team milanese non si limita a mettere in pratica le idee altrui. «Uno dei nostri progetti è iHearty — continua Bovio — una cover intelligen­te in grado di parlare con lo smartphone». Sfrutta i sensori per monitorare l’organismo e può far partire una chiamata d’emergenza in caso di un attacco di cuore del paziente. Ancora, in via Illirico si sta lavorando a una sorta di cerotto da appiccicar­e al petto per controllar­e la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca. E gli ingegneri — l’esperienza di genitori aiuta — pensano anche ai più piccini, con una «cintura» per i bebé che riproduce i massaggini delle mamme contro le coliche.

In Biocubica si uniscono gli sforzi di un informatic­o e sei ingegneri biomedici del Politecnic­o. Ricorda il fondatore: «Abbiamo iniziato in università come assegnisti di ricerca, ma ci siamo resi conto che le tecnologie sviluppate non sempre approdavan­o al mercato. Si fermavano». Da lì la scelta di mettersi in proprio. Partiti in sordina, «siamo cresciuti piano piano e oggi diamo lavoro a quattro persone». Tra i cardini della startup c’è l’impegno a realizzare prodotti Made in Italy. «Cerchiamo fornitori italiani, noi arriviamo fino alla fase dei prototipi». Se possibile anche la produzione è fatta sul territorio nazionale. «Così garantiamo qualità e generiamo valore aggiunto, nei dispositiv­i medicali è importante». Ed è una buona carta da giocare contro la concorrenz­a estera. «La parte difficile? Far capire ai clienti che servono molti passaggi per arrivare al prodotto finito». La contropart­ita è «avere l’opportunit­à di sperimenta­re ogni volta una cosa nuova».

La scelta

Abbiamo iniziato in università ma i nostri lavori non sempre arrivavano al mercato

 ?? (foto Balti) ?? La squadra Da sinistra Dario Bovio, Matteo Cardani, Mauro Quinzi (seduto) e Cosimo Damiano Longo. La startup Biocubica è stata fondata cinque anni fa da tre ingegneri usciti dal Politecnic­o: gli uffici si trovano in via Illirico, traversa di viale Argonne
(foto Balti) La squadra Da sinistra Dario Bovio, Matteo Cardani, Mauro Quinzi (seduto) e Cosimo Damiano Longo. La startup Biocubica è stata fondata cinque anni fa da tre ingegneri usciti dal Politecnic­o: gli uffici si trovano in via Illirico, traversa di viale Argonne

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