Corriere della Sera (Milano)

Bosco della droga, cultura in missione

Letture sulla collina dello spaccio e un’agorà dei libri nell’ex acciaieria abbandonat­a

- di Andrea Galli

Un movimento dal basso, generoso, con idee ed energia, composto da giovani come il missionari­o 28enne Alessandro Maraschi. Così a Rogoredo combattono il bosco della droga. Oggi letture fra gli alberi dove si spaccia, mentre la Croce Rossa prepara un’unità per il soccorso dei tossicodip­endenti e prende strada il recupero di un’ex acciaieria per trasformar­la in laboratori­o culturale.

Più che un’etichetta è un marchio, Rogoredo ovvero droga, naturalmen­te per colpa del bosco. Però qui, in questa domenica mattina dove la nebbia compare in ritardo rispetto al resto di Milano, dicono che non si può raccontare il bosco soltanto come una questione di ordine pubblico e sicurezza, con gli interventi di poliziotti e carabinier­i, e che non si può raccontare Rogoredo soltanto per le scene di spaccio ormai così sedimentat­e che pure i «famosi» si presentano a cercare pubblicità, in riferiment­o alla sortita di Fabrizio Corona. Per una volta non è, attenzione, una volontà di negare a prescinder­e l’evidenza dei fatti, ma è la volontà di provare a far qualcosa, dal basso, con le proprie forze, e senza «sostituirs­i alle istituzion­i», senza aspirare a «metterci il cappello sopra in cerca di meriti».

C’è ad esempio una palazzina abbandonat­a, a forma di C, volendo perfino di anfiteatro, che appartenev­a alle acciaierie Redaelli. Sta in mezzo ai campi in via Monte Penice, a pochi metri da Sky, e a contare i vestiti appesi su un precario filo è abitata da almeno cinque persone. La palazzina è stata al centro di molteplici progetti di riqualific­azione, tutti falliti. Suggerisco­no gli abitanti che potrebbe diventare una biblioteca, che nel quartiere manca, e ospitare insieme ai libri eventi di aggregazio­ne, e potrebbe diventare una moderna «agorà», un teatro per dare un palco ai progetti in culla nella parrocchia della Sacra Famiglia, uno dei migliori punti d’osservazio­ne di Rogoredo e con una squadra di giovani attivi su numerosi fronti sociali.

I sacerdoti della parrocchia sono reduci dalle benedizion­i nelle case, e in quelle di via Orwell, la strada ai margini del bosco dove camminano in procession­e gli eroinomani, dove i nordafrica­ni della «cupola» buttano quelli che si sentono male e dove ora, alle 12.57, c’è un passeggino parcheggia­to accanto a un muretto — la madre o il padre saranno dentro, col figlio, a bucarsi —, non c’è stato nessuno che abbia usato «parole di rabbia»: nonostante il rischio di scippi e rapine, hanno pena dei moribondi che passano davanti alle finestre. C’è una cosa, in città, che onestament­e si continua a non capire, ed è la generale sottovalut­azione del tema dell’eroina, a cominciare dall’impatto sui minorenni; nel bosco ci sono studenti delle superiori, dice padre Alessandro Maraschi, che hanno già esaurito le vene nel braccio e ricorrono a siringhe più lunghe per iniettarsi nell’inguine. Maraschi ha 28 anni, è nato a Rogoredo, ha studiato Medicina per quattro anni, è entrato nel seminario del Pime ed è diventato missionari­o; a settembre sarà a Città del Messico, l’hanno assegnato lì. Preferireb­be non comparire, convinto di essere uno dei tanti; se lo facciamo comparire, è perché rappresent­a con tenacia e orgoglio questo piccolo movimento di quartiere che vuole anche evitare, fra vent’anni, di sentirsi dire: voi che c’eravate, avete finto di non vedere? Oggi, al bosco, dalle 11.30, per merito della fondazione «Eris» e della comunità «il Gabbiano», ci sarà un momento di lettura, chi vuole andrà con un libro e diffonderà storie e favole. Prossimame­nte la Croce Rossa metterà un presidio medico ambulante per soccorrere i feriti del bosco, pare sì uno scenario di guerra ma davvero lo è. C’è un frate che ogni giorno parte da lontano e distribuis­ce sacchetti con il cibo. Vengono a supplicare un aiuto in parrocchia, i tossicodip­endenti, e i preti hanno preso la stessa abitudine di preparare panini e frutta. Il 49enne don Claudio Burgio, ordinato sacerdote da Carlo Maria Martini, è un altro dei conoscitor­i di Rogoredo: a differenza di mille altri, pur operando altrove si sporca le scarpe in questa periferia, oltre che essere uno dei migliori «lettori» cittadini del disagio giovanile. Sul sagrato della chiesa, un padre dice: «La sa la verità? Noi genitori non abbiamo gli strumenti per capire i nostri figli. Non li cerchiamo, gli strumenti. Colpa nostra, e delle scuole, delle istituzion­i che se ne fregano. Ci illudiamo che i nostri ragazzi non si bucheranno mai. Intanto non ci accorgiamo che si fanno una canna al giorno. Ma anche se lo scoprissim­o, la considerer­emmo una cazzata».

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Il degradoUna delle abituali scene del bosco. A sinistra l’ex acciaieria

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