Bosco della droga, cultura in missione
Letture sulla collina dello spaccio e un’agorà dei libri nell’ex acciaieria abbandonata
Un movimento dal basso, generoso, con idee ed energia, composto da giovani come il missionario 28enne Alessandro Maraschi. Così a Rogoredo combattono il bosco della droga. Oggi letture fra gli alberi dove si spaccia, mentre la Croce Rossa prepara un’unità per il soccorso dei tossicodipendenti e prende strada il recupero di un’ex acciaieria per trasformarla in laboratorio culturale.
Più che un’etichetta è un marchio, Rogoredo ovvero droga, naturalmente per colpa del bosco. Però qui, in questa domenica mattina dove la nebbia compare in ritardo rispetto al resto di Milano, dicono che non si può raccontare il bosco soltanto come una questione di ordine pubblico e sicurezza, con gli interventi di poliziotti e carabinieri, e che non si può raccontare Rogoredo soltanto per le scene di spaccio ormai così sedimentate che pure i «famosi» si presentano a cercare pubblicità, in riferimento alla sortita di Fabrizio Corona. Per una volta non è, attenzione, una volontà di negare a prescindere l’evidenza dei fatti, ma è la volontà di provare a far qualcosa, dal basso, con le proprie forze, e senza «sostituirsi alle istituzioni», senza aspirare a «metterci il cappello sopra in cerca di meriti».
C’è ad esempio una palazzina abbandonata, a forma di C, volendo perfino di anfiteatro, che apparteneva alle acciaierie Redaelli. Sta in mezzo ai campi in via Monte Penice, a pochi metri da Sky, e a contare i vestiti appesi su un precario filo è abitata da almeno cinque persone. La palazzina è stata al centro di molteplici progetti di riqualificazione, tutti falliti. Suggeriscono gli abitanti che potrebbe diventare una biblioteca, che nel quartiere manca, e ospitare insieme ai libri eventi di aggregazione, e potrebbe diventare una moderna «agorà», un teatro per dare un palco ai progetti in culla nella parrocchia della Sacra Famiglia, uno dei migliori punti d’osservazione di Rogoredo e con una squadra di giovani attivi su numerosi fronti sociali.
I sacerdoti della parrocchia sono reduci dalle benedizioni nelle case, e in quelle di via Orwell, la strada ai margini del bosco dove camminano in processione gli eroinomani, dove i nordafricani della «cupola» buttano quelli che si sentono male e dove ora, alle 12.57, c’è un passeggino parcheggiato accanto a un muretto — la madre o il padre saranno dentro, col figlio, a bucarsi —, non c’è stato nessuno che abbia usato «parole di rabbia»: nonostante il rischio di scippi e rapine, hanno pena dei moribondi che passano davanti alle finestre. C’è una cosa, in città, che onestamente si continua a non capire, ed è la generale sottovalutazione del tema dell’eroina, a cominciare dall’impatto sui minorenni; nel bosco ci sono studenti delle superiori, dice padre Alessandro Maraschi, che hanno già esaurito le vene nel braccio e ricorrono a siringhe più lunghe per iniettarsi nell’inguine. Maraschi ha 28 anni, è nato a Rogoredo, ha studiato Medicina per quattro anni, è entrato nel seminario del Pime ed è diventato missionario; a settembre sarà a Città del Messico, l’hanno assegnato lì. Preferirebbe non comparire, convinto di essere uno dei tanti; se lo facciamo comparire, è perché rappresenta con tenacia e orgoglio questo piccolo movimento di quartiere che vuole anche evitare, fra vent’anni, di sentirsi dire: voi che c’eravate, avete finto di non vedere? Oggi, al bosco, dalle 11.30, per merito della fondazione «Eris» e della comunità «il Gabbiano», ci sarà un momento di lettura, chi vuole andrà con un libro e diffonderà storie e favole. Prossimamente la Croce Rossa metterà un presidio medico ambulante per soccorrere i feriti del bosco, pare sì uno scenario di guerra ma davvero lo è. C’è un frate che ogni giorno parte da lontano e distribuisce sacchetti con il cibo. Vengono a supplicare un aiuto in parrocchia, i tossicodipendenti, e i preti hanno preso la stessa abitudine di preparare panini e frutta. Il 49enne don Claudio Burgio, ordinato sacerdote da Carlo Maria Martini, è un altro dei conoscitori di Rogoredo: a differenza di mille altri, pur operando altrove si sporca le scarpe in questa periferia, oltre che essere uno dei migliori «lettori» cittadini del disagio giovanile. Sul sagrato della chiesa, un padre dice: «La sa la verità? Noi genitori non abbiamo gli strumenti per capire i nostri figli. Non li cerchiamo, gli strumenti. Colpa nostra, e delle scuole, delle istituzioni che se ne fregano. Ci illudiamo che i nostri ragazzi non si bucheranno mai. Intanto non ci accorgiamo che si fanno una canna al giorno. Ma anche se lo scoprissimo, la considereremmo una cazzata».