Facchetti: fuori la politica dallo stadio
«Ora le società sbeffeggino gli estremisti»
Cancelliamo le parole dagli stadi, quindi anche la politica. Solo colori o parole nuove. Le società prendano in giro gli estremisti violenti con il loro stesso linguaggio. Altrimenti le misure drastiche di oggi non serviranno a nulla». Così l’attore Gianfelice Facchetti, figlio di Giacinto, storica bandiera dell’Inter.
«Cancelliamo le parole dagli stadi, quindi anche la politica. Solo colori o parole nuove. Le società prendano in giro gli estremisti violenti con il loro stesso linguaggio. Altrimenti le misure drastiche di oggi non servono». Gianfelice Facchetti è nato e cresciuto con la passione per il calcio e per l’Inter, alla quale ha saldato un’altrettanto grande passione civile. E il giorno dopo la tragedia che segnerà per sempre questa Inter-Napoli, oltre a muovere alcune pesanti critiche alla politica, si spinge — da artista — a suggerire nuove strade per rompere l’asse tra tifo e violenza.
Facchetti, perché lei è critico verso le misure decise dopo questo ennesimo omicidio calcistico?
«A scanso di equivoci, vanno bene anche le soluzioni drastiche. Ok, chiudiamo lo stadio per due partite. Ma poniamoci qualche domanda: a chi parla questa decisione? A quel 95 per cento di tifosi civili che portano allo stadio anche i bambini? E poi, oltre la repressione non c’è niente?». E cosa dovrebbe esserci? «Tanto per cominciare ci dovrebbe essere un tentativo serio di capire cosa sia accaduto nelle curve degli stadi da una quindicina d’anni a questa parte. Come è stato possibile che logiche e linguaggi dell’estrema destra se ne siano progressivamente impossessate, come si sono formate le saldature con la criminalità organizzata. Come e chi ha permesso che avvenisse tutto ciò. Ecco, se le misure drastiche sono il primo passo lungo un percorso di questo tipo allora vanno benissimo». Quindi lei punta dritto sulla politica?
«Insomma, non facciamo gli ipocriti. Questo Paese non può aprire gli occhi soltanto sull’estrema destra che si organizza nelle curve degli stadi. Certo è lì che assistiamo a cose penose come le figurine di Anna Frank o all’uso di ”zingaro” ed ”ebreo” come insulti. Però è nel Paese che assistiamo sempre più spesso a manifestazioni di razzismo latente e blitz dell’estrema destra alla luce del sole. Non scandalizziamoci solo per quanto avviene negli stadi se poi politici che non esitano a strizzare l’occhio a certi ambienti per un pugno di voti».
Inevitabile pensare alle polemiche per l’abbraccio tra il ministro dell’Interno Matteo Salvini e il capo ultrà milanista pregiudicato.
«Veda lei. Io posso dirle che ho conosciuto Virgilio Motta, morto suicida, al quale quel capo ultrà aveva fatto perdere un occhio. Era sprofondato in un buco nero di depressione dopo essersi trovato da solo a chiedere giustizia. Nessuno al suo fianco, né le società né le istituzioni».
E nel frattempo il dibattito pubblico ha mutuato il linguaggio delle curve...
«Sì, in parte è andata così. Parlare alla pancia della gente rende bene, funziona. Ma questo potrebbe essere uno strumento da utilizzare contro gli imbecilli per prenderli in giro».
In che modo?
«Le società calcistiche ormai sono attrezzate nel produrre contenuti, hanno una narrazione per ogni campagna abbonamenti, per ogni acquisto, allo stadio Gli speaker che gridano i nomi dei giocatori. Allora, di fronte ai cori razzisti a Koulibaly invece di mandare due-tre volte annunci burocratici sul rischio di sanzioni, lo speaker ricordasse che nell’Inter giocano Asamoah, Keita e molti altri africani? E se dagli altoparlanti partisse il grido “buffoni, buffoni” rivolto ai razzisti non pensa che gli altri 50 mila tifosi si unirebbero volentieri? Altrimenti l’alternativa, per il momento, è bandire le parole dagli stadi: lasciamo entrare soltanto i colori».