Sarto e cestista oltre le barriere
Colpito dalla polio, oggi è cestista in serie B
Sarto e giocatore di basket in carrozzella, per la poliomielite, Cheick Diattara, senegalese di 42 anni, vive ad Affori. «In città tante barriere architettoniche, arrivare agli allenamenti è un’impresa».
«Da mia nonna Absa ho preso il sorriso e la forza di non arrendermi, anche quando ho capito che avrei dovuto smettere di studiare, perché con le mie gambe deboli non potevo camminare fino a scuola». Nonna Absa diceva: «Dio ti ha dato tutto, anche in carrozzella potrai fare quello che vorrai».
Erano gli anni 90 e Cheick Diattara, tredicenne, viveva a Guédiawaye, sobborgo di Dakar, in Senegal. Oggi che vive a Milano, e di anni ne ha 42, è grato a quegli incoraggiamenti: è riuscito a fare quello che non avrebbe mai creduto. Ovvero, diventare un giocatore di basket professionista: milita nel Basket Seregno Gelsia, squadra di pallacanestro in carrozzella che gioca il campionato italiano di serie B. E, allo stesso tempo, lavora come sarto. «Quando smetterò di giocare vorrei allenare, ma se non succederà avrò sempre il mio lavoro». La serie B è già un bel traguardo, ma non è il primo: anche in Senegal giocava nel campionato e ha fatto anche alcune presenze nella nazionale disabili. A Milano è arrivato quattro anni fa. Sa suonare le percussioni e, seguendo una compagnia di danza per disabili in tournée, è arrivato a Salerno. Lì ha incontrato un altro atleta paraplegico che lo ha presentato ad alcune squadre di pallacanestro. Dopo un’esperienza a Cantù, ha cominciato a giocare nel Seregno, nel ruolo di pivot, sotto la guida di mister Tony Pecoraro. «Ho scoperto di avere la poliomielite a otto anni. All’epoca non c’erano i vaccini. I miei genitori dovevano badare ai miei cinque fratelli, così mi affidarono ai nonni — racconta Cheick —. A Dakar è impossibile muoversi in sedia a rotelle, quindi lasciai la scuola, ma la nonna trovò il centro per disabili dove ho imparato a giocare a basket e a confezionare vestiti, lavoro che faccio ormai da quindici anni». Al suo arrivo a Milano, ha vissuto per due anni alla Comunità San Marco, poi ha trovato lavoro in una sartoria di via Procaccini e ha preso in affitto un appartamento con un amico. «Per spendere meno ci siamo trasferiti in provincia, ma non è stata una buona idea. A Milano ci sono tante barriere architettoniche, ma fuori i mezzi pubblici sono poco frequenti. Per questo, ho cercato una nuova casa a Affori». Arrivare agli allenamenti è un’impresa, fra montascale e ascensori che non esistono o non funzionano e treni cancellati. Ma il vero problema è tornare a casa dopo l’allenamento che finisce alle 23. Spesso lo accompagnano gli amici. Il Basket Seregno è la sua seconda famiglia. «Siamo un vero team», dice. «Da parte mia, non vivo il mio handicap come problema. Adesso è un momento difficile, perché la sartoria dove lavoravo ha chiuso e mi arrangio preparando abiti che vengono poi venduti da alcune associazioni. Però non mi arrendo. So giocare a basket, cucire, suonare e cucinare bene. Prenderò qualsiasi lavoro mi offriranno». Mentre palleggia o tenta di stoppare un attacco, pensa al futuro. «Ora sono single — scherza —, mi piacerebbe sposarmi, avere un figlio e mandarlo negli Usa a vedere una partita all’Nba». I suoi idoli? «Michael Jordan, ovviamente, e poi Danilo Gallinari».