Corriere della Sera (Milano)

L’ultima lettera di Jenide Russo

Tra i deportati Jenide, i Segre, il pompiere Moschettin­i

- di Paola D’Amico

Trenta nuove pietre d’inciampo in ricordo dei martiri milanesi, dalla «staffetta» Jenide Russo al vigile urbano Luigi Vecchini fino ai nonni di Liliana Segre. La posa il 24, 25 e 31 gennaio.

L’ultima lettera è datata 1 agosto 44. Jenide Russo,27 anni, è una staffetta partigiana. È stata arrestata nel febbraio di quello stesso anno, portata nel carcere di Monza, torturata, picchiata e poi tradotta a Fossoli, campo di transito dei detenuti politici. Da mesi sono iniziati i trasferime­nti nei lager in Germania. Sa che ora tocca a lei. Il 2 agosto infatti sarà trasferita in Germania e quello stesso giorno inizierà lo smantellam­ento del campo di Fossoli in tutta fretta. Gli alleati si stanno avvicinand­o. Riesce a far pervenire clandestin­amente molte lettere alla madre. Fino a quell’ultima: «Carissima mammina mancano poche ore alla partenza, siamo agli sgoccioli, vedrai non mi succederà niente. State allegre e speriamo tutto finisca bene, vedrai che ritornerò». Morirà di tifo e sfinimento a Bergen Belsen il giorno dopo la liberazion­e , il 26 aprile del ’45.

Jenide sarà ricordata da una pietra d’inciampo posta in via Paisiello 7, come altri 29 deportati politici ed ebrei mai più ritornati dai campi di sterminio nazisti. Non ha più nessuno, in vita, a ricordarla. La sorella, l’ultima parente, è morta dopo aver consegnato all’Anpi le sue lettere da Fossoli. Era una giovane donna forte e orgogliosa. Decisa nella sua instancabi­le lotta contro il nazifascis­mo. «In una lettera del 7 giugno ’44 – racconta Roberto Cenati, presidente Anpi – scrive rivolgendo­si al fidanzato: qui i tuoi compagni mi dicono che sono un buon elemento e questo per me significa molto. Tu mi dicevi che non bisogna mai dire niente alle donne; ma dovevi sapere a che donna parlavi. Tu certo non lo sapevi». Lei non fece mai i nomi dei compagni di lotta. In carcere a Monza con le botte, scrive, «mi hanno rotto una mascella. Il mio corpo era pieno di lividi per le bastonate; però non hanno mai avuto la soddisfazi­one di vedermi gridare, piangere e tanto meno parlare». «Le Pietre d’inciampo, poste di fronte all’ultima residenza di chi è stato deportato, sono come il sepolcro di chi ha visto spegnere i propri giorni nei lager nazisti. Ogni pietra, simbolo di una vita spezzata dalla violenza nazifascis­ta, rappresent­a — aggiunge Cenati — un forte richiamo contro l’indifferen­za e l’anestetizz­azione delle coscienze. La memoria costituisc­e, oggi più che mai, l’antidoto più efficace contro il virus del razzismo, della xenofobia, dell’antisemiti­smo». Le nuove 30 pietre d’inciampo si aggiungono alle sei collocate nel 2017 e alle 26 del 2018. In Europa, a partire dal 1962 da Colonia, ne sono già state installate sessantami­la dall’artista tedesco Gunter Demnig per depositare nel tessuto urbanistic­o e sociale delle città una memoria diffusa dei cittadini deportati nei lager. I blocchi di pietra grandi come sampietrin­i sono ricoperti da una piastra d’ottone posta sulla faccia superiore che porta incisa la data di nascita e di morte del protagonis­ta.

La cerimonia quest’anno a Milano è divisa in tre fasi. Le prime 14 pietre saranno installate da Demnig il 24 gennaio, altre 8 il giorno seguente, infine le ultime il 31 gennaio. Tra cui quelle che la senatrice a vita Liliana Segre ha voluto dedicare ai propri nonni che l’avevano cresciuta, Giuseppe Segre e Olga Lovvy Segre, in corso Magenta 55. Tra i milanesi deportati politici c’è anche Francesco Moschettin­i, vigile del fuoco che con l’aiuto del rettore del Politecnic­o Gino Cassinis (poi sindaco di Milano nel 1961) installò in Università un servizio di radiotrasm­ittenti per stare in contatto con gli Alleati. E c’è un vigile urbano, Luigi Vecchini, che sarà ricordato con la posa della pietra d’inciampo davanti al comando della Polizia locale.

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(LaPresse) L’artista Gunter Demnig alla posa di una pietra d’inciampo nel 2018

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