Vita sospesa tra arte e viaggi nel film di Yervant Gianikian dai diari di Angela Ricci Lucchi
In anteprima alla Milanesiana il film di Yervant Gianikian tratto dai quaderni e dai video di Angela Ricci Lucchi
Angela Ricci Lucchi, «milanese clandestina» che per oltre quarant’anni ha realizzato con Yervant Gianikian film sulle tragedie del secolo scorso proiettati in tutto il mondo (dal MoMa di New York alla Biennale di Venezia), non aveva mai imparato a usare il computer. Disegnava (aveva studiato a Vienna a con Oskar Kokoschka) e scriveva con grafia leggera. Dopo la sua morte, nel febbraio dell’anno scorso, Gianikian ha cominciato a rileggere i suoi diari e rivedere ciò che avevano girato durante i loro viaggi. Così è nato «I diari di Angela – Noi due cineasti», presentato domani al Mexico.
«Erano più di cento ore in pellicola e in formati video oggi desueti, che ho fatto digitalizzare. È stato il mio tentativo di riportare Angela al mio fianco, di farla rivivere, la continuazione del nostro lavoro». Parti del film sono girate in Turchia, sui luoghi del genocidio armeno: e le parole sono quelle del padre di Yervant, che riuscì a scappare a piedi e raggiungere l’Italia. E poi ci sono l’URSS, l’Iran, le trincee della Bosnia subito dopo la guerra, con Angela che si chiede come tutto ciò sia potuto succedere. «Spesso avvertivamo una grande tensione. Erano anni in cui non si andava in giro a fare riprese con il cellulare. E non sempre era possibile tirar fuori la videocamera.»
Nel film le immagini riprese per il mondo — o tra le colline del Monferrato — si alternano ai diari «miniati» di Angela, letti dalla sua voce o da quella di Yervant. «Angela aveva una memoria visiva incredibile. Negli anni 60 aveva lavorato in una scuola di Lugo di Romagna assieme a bambini che venivano considerati folli. Aveva denunciato come venivano trattati — non c’erano neanche i bagni — e il suo diario le venne sequestrato. Poco prima di morire, cominciò a disegnare i volti di quei bambini, dal volto ricordò i
Erano più di cento ore di girato. Montandole ho fatto rivivere la mia compagna e l’ho riportata da me
nomi e riscrisse le loro storie. Spero di poter realizzare presto un film su tutti questi materiali».
Con i disegni di Angela vengono raccontati episodi drammatici, come quello in cui Gianikian rischiò la vita per l’esplosione della bobina di una vecchia pellicola infiammabile. Ci si dimentica che sono disegni: anche questa è una forma di cinema. «Già negli anni 80 Angela aveva disegnato un rotolo di 20 metri illustrando le fiabe armene che mio padre traduceva per lei. È come un rotolo di pellicola. Poi ha fatto un lavoro analogo sui nostri viaggi in Russia, alla ricerca degli ultimi testimoni delle purghe staliniane»
Nei «Diari di Angela» c’è comunque una grande vitalità: si parla spesso di cucina e di vini («Angela era una cuoca bravissima») e compare a sorpresa Walter Chiari. «Nel 1987 mi avevano invitato in Armenia: “Vieni a ispirarti alla tua madre patria!”. Ero intimidito, allora ho chiesto di accompagnarci a Walter Chiari, che aveva amato i nostri lavori per “Geo” di Folco Quilici. È stato straordinario, improvvisava spettacoli per le contadine. Il KGB ci controllava, forse temendo che Walter potesse dire cose sconvenienti, ma quando tornò dichiarò che si era sentito casa sua. E mi disse: “Yervant, ti regalerò il mio ultimo respiro”. Nei “Diari” si vede solo una piccola parte di quello che abbiamo girato. Anche da ciò spero di trarre un altro film. Ora che Angela non c’è, devo continuare il suo lavoro, seguire le linee che ha tracciato».