Corriere della Sera (Milano)

Battisti e il 1979 di sangue «È l’ora della giustizia»

Parla il fratello di Campagna. Caccia ai latitanti

- di Cesare Giuzzi e Giampiero Rossi

«Finché non lo vedo scendere dall’aereo non do per conclusa questa vicenda»: Maurizio Campagna, fratello di Andrea, poliziotto ucciso dai Pac in via Modica nel 1979, commenta l’arresto di Cesare Battisti: «Ora è importante difendere la memoria». La lista di «milanesi» latitanti è nutrita: i killer di via Adige, Maurizio Baldassero­ni, a Paolo Ceriani Sebregondi, che a Parigi viveva come vice preside.

Al telefono di casa risponde Andrea Campagna. Ha diciannove anni e porta il nome dello zio poliziotto — fratello di suo padre — che non ha mai conosciuto perché fu ucciso il 19 aprile 1979 in via Modica, alla Barona. Freddato con cinque colpi di 765 magnum. Aveva 24 anni, Andrea Campagna, lavorava in polizia, alla Digos. Faceva l’autista, ma nella rivendicaz­ione firmata Pac (Proletari armati per il comunismo) veniva definito «torturator­e di proletari». Per quel delitto è stato condannato all’ergastolo Cesare Battisti, in contumacia, quando era già evaso dal carcere di Frosinone. Ma anche da latitante non è mai uscito dalla vita di questa famiglia di immigrati calabresi.

Maurizio Campagna aveva diciotto anni, più o meno l’età di suo figlio oggi. Quel pomeriggio il fratello gli aveva balenato la possibilit­à di fargli provare l’Alfasud di seconda mano appena comprata con lo stipendio da poliziotto. Ma poi prevalse l’attrazione del primo televisore a colori, che stava arrivando a casa proprio in quel momento. «Solo per questo non mi trovavo con lui in via Modica, sotto casa della sua fidanzata, dove gli spararono», ricorda anche nel giorno in cui dalla Bolivia rimbalza la notizia dell’ennesima cattura di Cesare Battisti. «Finché non lo vedo scendere dall’aereo non do per conclusa questa telenovela», dice. Ma si sente l’euforia dei momenti in cui succede qualcosa di importante.

Ma perché è importante che Battisti torni in Italia? «Ci sono stati dei processi, delle sentenze che lo hanno condannato come assassino, quindi tutto quello che vogliamo è che adesso il cerchio giudiziari­o si chiuda. Non importa quanto tempo starà in carcere, quello che conta è che mio figlio e tutti i cittadini italiani possano vedere compiersi il percorso della giustizia italiana». Però non è soltanto a beneficio del figlio che Maurizio Campagna si è impegnato con l’Associazio­ne dei familiari delle vittime di terrorismo e la casa della memoria per nutrire la conoscenza su quanto accadde in quei maledetti anni di piombo. «I nostri ragazzi, e persino i quarantenn­i, sanno davvero poco di quella storia. Eppure Milano è piena di lapidi, parchi e via dedicate alle vittime di tutte le forme di terrorismo di questa città». E fa davvero effetto scorrere la dolorosa lista dei caduti di quegli anni: il 1979, quando i Proletari armati per il comunismo di Cesare Battisti colpirono a morte l’agente Campagna e il gioiellier­e Pierluigi Torregiani, si era aperto con l’assassinio del giudice Emilio Alessandri­ni da parte di un commando di Prima Linea. Ma il clima era già molto pesante. Durante l’anno precedente, quello del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro, i proiettili dei terroristi avevano lasciato sul selciato di Milano sette corpi senza vita: da Fausto e Iaio al maresciall­o degli agenti di custodia Francesco Di Cataldo, dal diciottenn­e Roberto Girondi al commercian­ti Domenico Bornazzini, dal tappezzier­e Piero Antonio Magri al macellaio Carlo Lombardi. E nel 1980 il macabro bilancio è ancora più pesante: dieci morti ammazzati, tra i quali il giornalist­a Walter Tobagi e il giudice Guido Galli. L’anno dopo altri sei lutti. La città, che aveva iniziato a subire la violenza politica con la strage di piazza Fontana nel 1969 e poi era rimasta scossa dall’omicidio del commissari­o Luigi Calabresi nel 1972 e dodici mesi più tardi dalla strage di via Fatebenefr­atelli, era davvero ferita. «Agguati, gambizzazi­oni, minacce. C’era tanta tensione — ricorda Antonio Iosa, 85 anni, storico animatore del Circolo Perini di Quarto Oggiaro —. Io lavoravo in via Larga, dove quasi ogni giorno passavano cortei non sempre pacifici». Iosa fu gambizzato nel 1980 e anni fa ha incontrato la terrorista che gli sparò. «Non cerchiamo vendetta, ma è importante chiudere queste ferite. Per questo anche Cesare Battisti deve saldare il suo conto con la giustizia».

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