GLI SCRIGNI NASCOSTI DI PERIFERIA
Quante volte vi sarà capitato di transitare per viale Jenner? A me accade spesso: abito non troppo lontano da questa piuttosto anonima circumvallazione. Pochi sanno che, in quell’anello urbano, nel Settecento, si trovava un’ampia area boscosa con ruscelli, punteggiata da lussuosi casini di caccia costruiti da ricchi milanesi. Nell’unica architettura di questo tipo sopravvissuta — ne ha dato notizia ieri il «Corriere» — si cela un piccolo, e finora nascosto, patrimonio, che, con ostinata passione, è stato trovato dal Soprintendente del Castello Sforzesco Claudio Salsi e da un esperto staff di conservatori: due disegni dell’epoca degli Sforza — un alveare e un giglio incorniciati in riquadri che simulano nicchie con la tecnica del trompe-l’oeil — ripetuti a scacchiera sulla facciata di un casino oggi «ridotto» a condominio. Certo, un riaffioramento inatteso. Che, tuttavia, ci invita a pensare le nostre città non come luoghi già ampiamente conosciuti e privi di misteri, ma come meravigliosi scrigni dentro cui si depositano tesori, ancora in attesa di essere scoperti e portati alla luce. Dunque, non libri già letti, da sfogliare distrattamente, ma volumi da leggere con attenzione, nella consapevolezza che potranno sempre riservarci colpi di scena. Realtà non troppo diverse dal nostro inconscio, nel quale esistono zone a noi stessi ignote. È qui la differenza tra città storiche (come Milano, Roma o Napoli) e megalopoli prive di memorie (come quella statunitensi, arabe, orientali).
Mentre le metropoli «nuove» si offrono come piatte su cui si depositano emergenze architettoniche eccentriche esuperfici mediaticamente efficaci, le nostre città sono come botole dentro le quali si celano giacimenti inesplorati. La scommessa — come suggeriva una ricerca curata da Stefano Boeri e da Multiplicity nel 2007 («Cronache dell’abitare») — sta nel non smettere mai di guardare, di attraversare e di interrogare questi giacimenti inesauribili. Imparando a spiare nei cortili, negli anfratti, negli interstizi, nelle pieghe. Non limitandosi agli edifici del centro, ma fermando la nostra attenzione anche sulle periferie più o meno lontane da noi. Che esigono cura e rispetto. Non azioni assistenzialistiche, ma interventi legati alla cultura, all’arte, alla formazione e all’innovazione, che provino a sconfiggere (almeno parzialmente) condizioni di emarginazione. La vicenda di viale Jenner ci invita a non fermarci alle evidenze. Perché le sorprese possono venirci incontro a ogni angolo delle nostre città stratificate e porose. Proprio come quando si legge una spy story o un giallo.