Si consegna l’«Escobar» dei Balcani
In cella l’ex manager di Stato albanese Balili. Lo snodo Milano
C’ era lui, Kelmend Balili, ex manager di Stato, dietro i sette quintali di marijuana sequestrati nel 2016 e destinati a Milano. Il 48enne si è consegnato alla polizia sulle montagne del Sud dell’Albania. Frequenti in passato le visite in città, con avvistamenti in corso Vercelli e piazza della Repubblica. Poi la latitanza ma una continua regia sulle rotte della droga.
Lo chiamano l’«Escobar dei Balcani». A volte, i soprannomi sono fuori luogo. Ma in questo caso — il caso dell’albanese Kelmend Balili —, l’associazione con lo stragista colombiano ha la sua ragione nella capacità d’essere un trafficante di droga e, nel contempo, un imprenditore criminale con agganci pesanti fra le istituzioni. Balili, 48 anni, si è consegnato nelle campagne del distretto di Delvina, Sud dell’Albania, direttamente al capo della polizia Ardi Veliu, dopo tre mesi di trattative. Si è arreso pretendendo il rispetto di due condizioni: nessuna violenza durante il trasferimento in prigione e la promessa della polizia di non vendersi l’arresto come proprio merito. Anche se, alla fine, lo è stato. La parte più interessante comunque inizia adesso. Balili, già importante manager di Stato, è un giramondo custode di segreti. E molti portano direttamente qui in città.
La «rete» italiana
Il Corriere della Sera si era occupato di Balili nel 2016, dopo il sequestro al largo della Grecia di sette quintali di marijuana. Secondo il Gico della Guardia di finanza, che aveva condotto quell’operazione e indagato su chi aveva gestito il carico, la droga, che sarebbe dovuta sbarcare in Salento, era destinata a Milano. Gli investigatori s’erano detti certi che dietro quei quintali ci fosse lui, Balili, allora latitante in Grecia, uomo appassionato delle visite in città e in particolare delle zone di corso Vercelli e piazza della Repubblica. Custodisce un corposo elenco di nomi, ramificazioni e agganci, appartamenti utilizzati come basi e depositi per nasconderci lo stupefacente. Due zone (quella di Abbiategrasso e il Pavese) sarebbero strettamente riconducibili a lui.
I motivi della resa
Un esperto di droga, profondo analista degli scenari intercontinentali e sempre in forza alla Guardia di finanza, suggerisce questa chiave di lettura: «Di solito, se ti consegni, lo fai perché hai paura di venire assassinato e sei obbligato a chiedere aiuto alla polizia. Oppure, si sono frantumate tutte le protezioni che avevi, protezioni sia criminali che istituzionali, e non hai scelta... Meglio la galera che una bara... O ancora, terza e ultima ipotesi, vuoi mandare un messaggio diretto ai tuoi soci in affari: attenzione che il momento è delicato, restate coperti il più possibile, rallentate gli spostamenti di droga perché ci stanno addosso...».
L’escalation del boss All’inizio era stato lo sfruttamento della prostituzione, nei lontani anni Novanta. Le prime emigrazioni di massa dall’Albania e l’arrivo in Italia, senza distinzione, di brava gente e malavitosi evasi dalle carceri che avevano portato sulle strade le schiave minorenni. Alcuni balordi avevano investito i soldi del racket nella droga. Per lo più, marijuana. Negli ultimi cinque anni, c’è stato il salto di qualità, con l’«ingresso» nella cocaina, le alleanze con la ’ndrangheta che ha «avallato» la distribuzione, e i rapporti coi colombiani. Una delle più ricorrenti forme di pagamento è basata sullo scambio della materia,
Gli affari in città
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ad esempio l’acquisto di cocaina con la vendita di marijuana oppure, come succede con i turchi, di eroina. Non sono passaggi automatici, anzi: il tradizionale e più semplice vecchio sistema di controllo della marijuana ha profonde differenze con il mondo della cocaina. Balili era riuscito nella scalata, coperto da pezzi grossi del governo albanese e sicuro degli appoggi a Milano. Bisognerà vedere se in cella se ne starà zitto oppure, per proteggersi ulteriormente, canterà, tirerà giù qualcun altro ed eventualmente chi.